CARCERE DI SANT EUFEMIA, MODENA

Progetto espositivo ed editoriale dedicato al carcere di Sant Eufemia, fotografato da Giò Barbieri e Carlo Savigni
Prefazione di Franco Guerzoni

Il pretesto del reportage di Giò Barbieri e Carlo Savigni negli ambienti abbandonati delle Carceri di S. Eufemia, nel cuore in ombra della città, è stato offerto dal cambio recente di destinazione d’uso degli ambienti ora assegnati all’università di lettere. E’ stata quindi la sparizione di quel mondo cupo a suggerire agli autori di fissare con la macchina fotografica tutti i fantasmi che il luogo conteneva. Lo sguardo che hanno entrambi utilizzato in questa ricerca è privo di asperità; le immagini, colte un attimo prima della sparizione e dell’attuazione del restauro, sono in verità immagini morbide che raccontano qualcosa che non c’è più ed evocano e documentano comunque il dramma dei suoi “inquilini”. Qualcosa, tante cose, che oggi le malte e gli intonaci hanno occultato: i segni e i sogni che parlano dell’alternanza dei suoi ospiti inquieti. Parole e disegni, oggetti, collage di donne immaginate, il tempo che ne ha sedimentato gli strati di narrazione. Le chiare fotografie non cercano il clamore oscuro delle stanze e si offrono allo spettatore come soggetti antropologici oltre che artistici. Una sequenza di scatti di quel labirinto ai più sconosciuto, fissati come sindoni, veri e propri strappi alle pareti vissute.

Il reportage di Barbieri e Savigni, ricco di centinaia di scatti si presta ovviamente ad una esposizione da tenersi magari negli stessi locali restaurati oppure nelle immediate vicinanze, così da permettere agli spettatori una lettura del prima e del dopo di un edificio che se visto è stato guardato con sospetto e con un brivido. L’esposizione può offrire inoltre un ricco pretesto per una pubblicazione, che oltre alla riproduzione delle belle immagini di Giò e Carlo, si incarica di presentare uno studio storico del luogo, dalla sua antica fondazione. Un apparato del libro, potrebbe infatti illustrare attraverso piante, prospetti, antiche carte e documenti storici le diverse destinazioni del luogo, rivelando alla città quel cono d’ombra che le foto attuali ci rivelano attraverso la metafisica degli autori.

Per il saggio introduttivo si pensa più al contributo di un antropologo, piuttosto che a quello di un critico di fotografia data la densità e alla ricchezza storica delle immagini che possono trovare un antico antecedente nelle “Carceri “ sognanti del Piranesi*.

Franco Guerzoni

Per completezza si allegano alcune immagini.

Operatrice sociale Paola Cigarini, protagonista di gran parte della storia evolutiva del carcere.

*Gianbattista Piranesi (1720-1778), incisore, architetto e teorico dell’architettura italiana.

Considerazioni, per punti:

  • Il bisogno di lasciare traccia di sé attraverso i disegni sulle pareti. Il crocefisso disegnato, forse per pregare, per ritrovare o trovare conforto, continuare a sperare.
  • Espressioni di rabbia, odio, voglia di libertà. Uno sfogo.
  • Il desiderio/immaginazione della vita vera: le donne, la sessualità attraverso ritagli di giornali incollati alle pareti, in particolare quella dei bagni.
  • Spazi che evocano i rumori e i silenzi di vite segregate.
  • Compagni di cella non scelti, promiscuità, la solitudine in una stanza affollata, l’assenza di privacy.
  • Anime che urlano nel silenzio, anime smarrite che cercano un motivo per sopravvivere.
  • Il tempo dilatato, il giorno e la notte, l’alternarsi delle stagioni sempre uguali.
  • La libertà come approdo di un viaggio senza tempo e senza storia.
  • Sofferenza e voglia di riscatto.
  • I detenuti in attesa di giudizio costretti a convivere con quelli definitivamente condannati.
  • Dietro le sbarre: privazione e deresponsabilizzazione.
  • Il labile confine fra il lecito e l’illecito, il senso di colpa, la vergogna, la paura di non farcela, l’angoscia di vivere senza libertà.
  • La coscienza di chi sa di essere colpevole, la disperazione di chi sa di essere innocente.
  • I ricordi dell’infanzia e della famiglia. Il desiderio di una famiglia, di una vita “normale”.
  • Il rapporto coi figli piccoli e la lacerazione di aver recato loro un danno irreversibile.
  • Il complesso rapporto con i figli grandi e adulti.
  • L’assenza d’amore, la perdita degli amici…. i rimpianti.
  • Il ricordo della propria casa, del proprio letto e delle piccole cose della quotidianità, delle abitudini smarrite.
  • L’attesa che un improbabile “miracolo” si compia. La luce impalpabile della speranza, in fondo al tunnel.