KUCHING – Capitale dei Rajah Bianchi e Regno dei gatti – 2P

Il Sarawak State Museum

Sulla Jalan Tun Haji Openg, cinquanta metri dopo il Merdeka Palace Hotel, trovate l’area del Sarawak Museum, la principale attrazione culturale e turistica della città. Per la vastità dei suoi tesori archeologici, etnologici e antropologici, questo museo, che racchiude l’anima del Borneo, è considerato uno dei più importanti e prestigiosi del continente asiatico. È stato amministrato dal 1951 al 1966 dal celebre Tom Harrison, al quale va anche il merito di avere guidato la spedizione scientifica che nel 1958 scoprì un cranio australoide di circa 40.000 anni, il più antico reperto di Homo sapiens dell’isola, famoso come l’Uomo di Niah.

Terminato nel 1880 e aperto al pubblico nel 1891, il singolare palazzo in stile normanno voluto da Charles Brooke, fu disegnato dal naturalista Alfred Russel Wallace, che qui soggiornò per un paio d’anni, durante i quali fece frenetiche ricerche sulla selezione naturale correlando per la prima volta l’uomo all’orango. Nel 1983 il museo venne arricchito da un secondo edificio costruito sull’altro lato della strada, collegato da un passaggio pedonale sopraelevato. Il museo è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 18; l’ingresso è gratuito (pare però che presto sarà introdotta la biglietteria) e nei fine settimana è particolarmente affollato. Borse, videocamere e macchine fotografiche si lasciano alla reception.

Le collezioni

Tra le sue mura sono custodite preziose collezioni di antichi manufatti, armi, strumenti musicali, oggetti artistici e abiti delle varie tribù ed etnie del Borneo, oltre a ritrovamenti archeologici, ordinatamente mescolati a mobili, bronzi, giocattoli, anfore, conchiglie, reliquiari cinesi, porcellane del periodo Ming, arnesi per il piacere sessuale e tutto quanto documenta la storia e la vita nell’isola.

Nel piano terra, oltre il banco dell’ufficio informazioni posto all’entrata, s’incontra il settore dedicato alle scienze naturali con piante e fiori disegnati e catalogati, uccelli e animali impagliati (oranghi, armadilli, orsi, scoiattoli con le ali, balena, ecc.) o sotto spirito, tra cui un pitone ucciso nel centro di Kuching, una placca dentale umana trovata nell’intestino di un coccodrillo lungo sei metri e una coppa ricavata dal corno di rinoceronte, utilizzato come contenitore di veleni dai principi cinesi. Lo spazio dedicato agli invertebrati illustra anche le dimensioni del salto della pulce, 200 volte la lunghezza del proprio corpo, pari a 340 metri per un uomo d’altezza normale.

La East Gallery è interamente occupata dalla fedele ricostruzione di una longhouse iban completa di manichini, arredo, attrezzi, ornamenti e grappoli di teschi-trofeo appesi in veranda. Un grande affresco kenyah ricopre la parete triangolare sopra le quattro arcate che introducono alla Ethnological Gallery, situata al piano superiore; rappresenta l’albero della vita ed è una copia del disegno che tuttora orna la fiancata di un’antica longhouse di Long Nawang (nell’Apo Kayan, regione del Kalimantan orientale). Nei rami stilizzati della raffigurazione è leggibile la storia del villaggio da generazioni, in un groviglio di rami che si sviluppano a polipo, e su tutto domina il dio Petara nelle sembianze di un bucero.

Le due bacheche poste nella stessa stanza sono sormontate da grandi sculture in legno colorato aventi gli stessi motivi dell’affresco. La bacheca di destra contiene tamburi, lance e altre armi primitive, mentre i ripiani in vetro della seconda sono carichi di vasellame e preziose ceramiche cinesi. Nello spazio che segue un altro enorme dipinto raffigura uomini preistorici all’interno di una caverna. È presente un modello in scala delle grotte di Niah con didascalie che spiegano le tecniche usate dai raccoglitori di nidi di rondine, molto richiesti dalla cucina e dalla farmacologia orientale.

Nei contenitori posti nell’ultima sala dedicata all’etnologia, contraddistinta da un grosso e coloratissimo pesce in legno che pende dal soffitto e dal dipinto di una piroga con una decina d’indigeni intenti a remare, sono esposte numerose fotografie d’epoca e ancora un’infinità di armi, manufatti e interessanti statue tribali, compresi i legni intagliati 200 anni fa dalla tribù dei Sru Dayak, ora estinti. Uno scrigno dei Kelabit mostra un centinaio di perline ornamentali in vetro (manet) molto ricercate dai collezionisti in Occidente, ognuna con il proprio nome e il prezzo di mercato.

In una sala sono raccolti l’arte decorativa e gli oggetti in rattan delle tribù divise per aree di appartenenza; un’altra è dedicata ai Penan e alle loro cerbottane; nel museo è presente uno schema che illustra la lavorazione del petrolio ed è addirittura esposto un pezzo del nastro usato in occasione dell’inaugurazione della prima ambasciata straniera a Kuching, quella americana. Il carattere eclettico del museo è in grado di attrarre anche i visitatori meno interessati o più distratti. Accanto al museo ha sede il Sarawak Art Council Shop, un negozio senza scopo di lucro di proprietà del governo, istituito per incoraggiare gli artigiani locali. Gli oggetti in vendita sono nuovi, ma riflettono ugualmente la cultura e l’ambiente che li ha generati.

Nella nuova sede oltre la strada (completamente ristrutturata nell’anno 2000), fornita di aria condizionata, un ampio e curato settore include l’esposizione di resti neolitici provenienti dall’area di Niah e un’eccellente mostra antropologica, che comprende rari esempi d’arte tribale. Ricchissima la parte dedicata ai Brooke e alle ceramiche appartenenti alla dinastia Song, Yuan e Tang, con centinaia di bellissime giare, piatti, teiere e frammenti di resti preistorici rinvenuti da Harrison nel suo peregrinare per il Paese. Nella hall all’ingresso vengono proiettati video e diapositive acquistabili nel negozio accanto, ricolmo di libri, cartoline e souvenir del museo.

All’esterno del vecchio museo, nel prato, svettano alcuni immensi totem kelirieng di circa una decina di metri fissati con tiranti d’acciaio: si tratta di tombe formate da grossi tronchi d’albero intagliato, innalzati per custodire i resti dei capi tribù in un incavo posto sulla sommità. Tutt’intorno nel verde sono stati posizionati una decina di recinti in legno protetti da tettoie contenenti altrettanti mirabili luoghi di culto dai colori vivaci, rinvenuti negli insediamenti dayak dell’entroterra. Uno di questi racchiude un legno a forma di croce, da dove pendono quattro teschi sorretti da una rete vegetale e avvolti da foglie secche intrecciate. In cima è scolpito il dio Petara sotto forma di bucero, patrono dei guerrieri e degli uomini coraggiosi, per il quale veniva bandita la caccia alle teste; un vistoso amuleto solitamente posto all’ingresso del villaggio allo scopo di tenere lontano gli spiriti cattivi.

Un altro recinto custodisce una casetta-mortuaria salong ricoperta dalle tipiche ramificazioni kenyah e in un’altra ancora troviamo una lunga barca funeraria. Nel giardino è stata posta pure una copia del misterioso Batu Gambar (“pietra disegnata”), la roccia con una strana figura umana in rilievo scoperta nella gola del Jaong, nei paraggi di Santubong. Presso l’ufficio del curatore è possibile acquistare e ordinare i libri del Sarawak Museum Journal, pubblicazioni iniziate nel 1950 che godono di fama internazionale. Dietro al museo vecchio c’è pure l’Aquarium, con esempi di fauna marina del Borneo, mentre a sud dell’ala nuova si trova l’Islamic Museum con gallerie che mostrano i diversi aspetti della storia e della cultura musulmana.

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