SANTO DOMINGO – Città coloniale e paradiso perduto – 2P

Sono seduto a un colmado e sto mangiando mezza baguette con salame e formaggio, quando al tg locale mostrano la foto di una signora domenicana appena uccisa allo scopo di rubarle il cellulare e pochi spiccioli, con il vociare dei presenti che commentano furiosi il dilagare della delinquenza nel paese. Torno in albergo e sento dal racconto amareggiato di Ignacio che due ore prima, in un quartiere poco distante, è stato circondato da sette balordi che lo hanno costretto a consegnargli cellulare, soldi e ogni cosa. Nel contesto interviene Mathis, un anziano residente tedesco, che con orgoglio ci mostra il suo nuovo acquisto: un revolver pagato 100 dollari: “Che ci provino con me”. Chiedo di andare a piedi alla stazione dei bus, poco a nord, ma anche il riflessivo Julian me lo sconsiglia vivamente: “È un quartiere malfamato, abitato da gente povera, dove usano girare armati: per loro la vita non vale più di un fagiolo”. Questo mi riporta all’italiano ucciso a Cabarete per una manciata di pesos e al figlio di un mio amico modenese assassinato anni fa per furto proprio a Santo Domingo. Taxisti e tutti quanti all’occasione mi lanciano questo tipo di segnale tranne Pedro, giovane titolare di un negozio per turisti sul Conde: “Sono esagerazioni e comunque tu non rischi niente, non hai orologio, anelli, catene, sembri uno di noi”. In effetti i domenicani sono un popolo cordiale, esistono tante brave persone ma anche un esercito di cosiddetti “tigre”, giovani bulli che vivono di espedienti, ragazzi di strada esercitati a delinquere. Gli stessi giornali locali scrivono di centinaia di morti l’anno ammazzati con arma da fuoco e in buona percentuale sono turisti… Tuttavia, c’è sempre chi sostiene che “tutto il mondo è paese”.

Le notizie che precedono il mio cammino parlano di una Repubblica Domenicana invasa, da almeno 5 anni, da una ondata di violenza le cui radici vanno ricercate in un crescente disagio sociale e nel peggioramento delle condizioni economiche per una vasta parte della popolazione. La disgregazione sociale, l’abbandono scolastico e il conseguente aumento di una sottocultura deprivante, la disoccupazione, e il lavoro scarsamente retribuito fanno da sfondo a questo panorama scoraggiante e pieno di insidie. Sono cresciuti, a livello esponenziale i delitti passionali, la criminalità di strada e il narcotraffico, accompagnati da fenomeni quali le esecuzioni sommarie della polizia nazionale, fatte passare come conseguenze fatali di scontri a fuoco e speculari tiri a bersaglio sulla polizia per derubarla di armi di ordinanza. Devo ammettere che mai come in questo paese ho sentito menzionare così tanto la parola dinero, tutto pare ruotare intorno ad esso. Anche la controversa chiusura dell’Ambasciata italiana a Santo Domingo sarebbe dovuta alla scoperta di un giro di visti facili, rilasciati in modo illecito dietro compenso.

Questo diffuso malessere, che si intreccia bene con la “percezione di insicurezza“ della popolazione, troverà riscontro nei fatti, man mano mi inoltrerò nel territorio. È mia consuetudine esplorare i luoghi attraverso i dialoghi e le conversazioni con altri viaggiatori che incontro e con la gente del posto, mai accompagnato da paranoie per cui ascolto, valuto e do importanza ai consigli dei nativi quando suggeriscono di usare cautela nell’aggirarsi in alcune zone giudicate pericolose per la sicurezza personale. Mi ritrovo quindi a percorrere quei luoghi, come ho fatto in passato, ma questa volta accompagnato da stato d’animo diverso, con il desiderio di verificare di persona e approfondire il lato meno patinato e piacevole del paese. Utilizzo i bus di linea della Carribe Tours e, fuori dalle mura, tutto appare diverso, più caotico e trasandato, con montagne di immondizia ad ogni angolo. Le strade invase da un traffico intenso passano attraverso i grattaceli del Malecòn (lungomare) ed i quartieri residenziali protetti da un esercito di guardie, circondati da una sterminata periferia fatta di sobborghi fatiscenti e bidonville.

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