SANTO DOMINGO – Città coloniale e paradiso perduto

Il volo da Mexico City in una giornata limpida mi consente di gustare dall’alto la costa cubana, la baia di Guantanamo, Haiti e tutta la parte meridionale dell’isola di Hispaniola. All’arrivo prendo un taxi convinto di aver concordato una tariffa corrispondente a 19 euro, ma una volta in città il driver ne pretende ben 45 che non pago .. inizia così con una lite il mio ritorno in terra domenicana che coinvolge anche Josefina, la cameriera del mio hotel: ”E’ sempre la solita storia, quando arriva uno straniero pensano che tiene dinero e ne approfittano, mentre, alla sua partenza, il prezzo cambia”. Infatti, a fine soggiorno per il medesimo tragitto ne pagherò 20. Grazie ad un’offerta speciale colta al volo su Internet, con la cifra di appena sedici euro al giorno, alloggio in un piccolo ma confortevole appartamento del Class Colonial Aparta Hotel, in calle Vincente C. Duarte angolo Isabel La Catolica, gestito dall’affidabile Julian, statunitense d’origine cubana.

Delle mie visite precedenti, risalenti ad oltre un ventennio fa, ricordavo la bellezza della zona coloniale di Santo Domingo, capitale della Repubblica Domenicana, ora ne sto riscoprendo il fascino e resto ammirato dalle sue strette vie lastricate di mattoni, dalle case colorate a due piani caratterizzate da piacevoli architetture che evocano l’arte gotica, rinascimentale e barocca d’origine spagnola .. non ricordavo l’incredibile intreccio di fili elettrici, a volte veri grovigli, che scorre sulle teste dei passanti e deturpa il paesaggio urbano, ma all’epoca ero attratto da altro. La prima volta che metti piede in un paese vieni preso dallo stupore, dell’ansia di conoscere la gente e i luoghi e di vivere al massimo, non necessariamente al meglio, ogni esperienza. Quando vi ritorni, il tuo sguardo è più maturo e consapevole, aggiungi elementi che prima non avevi colto e ne valorizzi altri che ti avevano colpito meno, semplicemente perché non vediamo le cose come sono ma come siamo in quel momento.

La Ciudad Colonial mi appare quindi in tutta la sua bellezza. E’ il primo insediamento ancora esistente, creato da Cristoforo Colombo (1451-1506) all’arrivo nel Nuovo Mondo. Nucleo storico, culturale e turistico di Santo Domingo, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Ad onor del vero, il navigatore genovese e i suoi uomini prima provarono ad inserirsi sulla costa atlantica dell’isola di Hispaniola: il primo tentativo durò appena un anno, con il forte spagnolo dato alle fiamme dagli indigeni Taino che uccisero tutti i coloni, mentre il secondo fu abbandonato dopo cinque anni a causa di disastri e malattie. Fu Bartolomeo (1460-1514), fratello minore di Cristoforo, a decidere nel 1498 di trasferire la comunità di uomini ormai stanchi e delusi sul lato caraibico dell’isola, alla foce del Rio Ozama. Prima scelsero la sponda est del fiume, dove oggi risiede il mastodontico faro Colon (1992) contenente la controversa tomba* di Colombo e in seguito, nel 1502, misero le radici nel luogo attuale con il nome di Santo Domingo, creando così la prima città d’America. La città venne circondata da alte mura difensive che si estendevano dal fiume a “La Puerta del Conde”, ovvero l’unica entrata via terra, nonché limite estremo della città fino al XIX secolo. Per gli spagnoli divenne la principale base per la conquista delle Americhe. Città dal porto molto ambito, nel 1586 venne saccheggiata dal corsaro inglese Sir Francis Drake e nel 1822 conquistata dall’ex schiavo leader haitiano Toussaint Louverture, che occupò l’intera isola chiamandola Rapubblica di Haiti Spagnola fondando così il primo stato nero della storia moderna. Esso durò fino al 27 febbraio 1844, data dell’indipendenza da Haiti proclamata da Juan Pablo Duarte, considerato padre della patria domenicana.

E’ sempre piacevole, oggi come allora, passeggiare lungo l’animata via pedonale Paseo El Conde, l’arteria principale della cittadella, per l’atmosfera rilassante d’altri tempi, le ondate di turisti provenienti da tutto l mondo, i vivaci colori della miriade di dipinti esposti davanti alle gallerie d’arte, le tipiche caffetterie di genere latino americano, i ristoranti, i negozi, le bancarelle, mentre musici e cantanti si esibiscono, artisti dipingono ad olio su grandi tele e giovani donne offrono massaggi. Sono pittoreschi gli edifici Art Decò e il raduno di residenti italiani al Cafè Pizzeria Roma di Angelo ed è molto utile quel Supermercados Nacional coi prezzi fissi che mi dice quanto sia aumentato il costo della vita anche in questo Paese. Lo faccio presente all’amico Juan, il loquace venditore di souvenir a cui piace parlare di politica, e di colpo gli si accende il viso dall’ira: “Se un litro di latte costa l’equivalente di euro 1.50 come fa, ad esempio, un pubblico dipendente a mantenere una “normale” famiglia di tre figli con lo stipendio mensile di 100 euro? Spingono la gente a delinquere”. E aggiunge: “Qui siamo nel buco nero del mondo, abbiamo solo donne e sole”. Tuttavia, basta spostarsi nei colmado delle vie laterali per mangiare e bere con poca spesa, acquistare frutta esotica di stagione o sorseggiare un buon caffè con 10 pesos anziché 50. I colmado sono una vera istituzione nazionale, una sorta di connubio tra negozio alimentare e bar, posizionati quasi ad ogni incrocio dove, soprattutto a cominciare col fresco dell’imbrunire, si beve e si balla con la musica sparata a tutto volume. Degni di nota sono pure i giocatori di scacchi e di domino che si sfidano all’ombra dei grandi alberi del Parque Colòn, lungo El Conde o seduti davanti ai colmado nei vicoli tutt’attorno fino a tarda ora. Questo antico borgo marinaro, facilmente percorribile a piedi, racchiude un gran numero di  prestigiosi edifici da Guinness dei Primati, mi limito a visitare i più noti cominciando dalla Catedral Primada de America de Santa Maria La Menor (1512) affacciata su Parque Còlon, l’ombreggiata piazza in cui troneggia la statua di Cristoforo Colombo creata dallo scultore francese Gilbert (1887), punto di raduno per taxisti, musici e calessi con cavalli. Con le sue mura color ocra dal disegno rinascimentale, un portale d’ingresso enorme risalente alla sua creazione e all’interno le volte gotiche, le lapidi funerarie e l’altare in argento di valore inestimabile, mi assale intensa l’emozione per essere nella prima cattedrale costruita nel continente americano. Qui, nella cripta della cappella, furono custoditi i resti di Colombo fino al 1785 e fu anche scelta quale quartiere generale dal pirata Drake. Nel cortile esterno, detto Plaza Mayor, è stato eretto un busto di papa Wojtyla che qui venne nel 1979, nel primo dei suoi numerosi viaggi apostolici.

Pochi passi verso Rio Ozama e sono in Calle Las Damas, la prima strada lastricata di tutta l’America costruita sull’argine del fiume nel 1502, lungo il quale si susseguono molti dei monumenti simbolo di Santo Domingo. Ai tempi di Colombo era la passeggiata di nobildonne, dame di compagnia, fanciulle in cerca di marito, notabili, ufficiali e avventurieri, che alla sera uscivano per socializzare accarezzati dal fresco della brezza marina. Deve il suo nome alla moglie di Diego Colombo (1479-1526), primogenito di Cristoforo, ed al nugolo di cortigiane al suo seguito. Scendendo Las Damas da Calle Padre Billini, sul lato destro s’incontra imponente l’ingresso alla Fortaleza Ozama (1502), con al suo interno la torre del Homenaje (dell’Omaggio) alta 19 metri eretta nel 1507, in posizione strategica alla foce dell’Ozama. E’ la più antica costruzione militare del Nuovo Mondo voluta dal governatore Nicolàs de Ovando (1460-1511) per difendere la città dall’assalto di pirati, conquistadores francesi, inglesi, portoghesi e infine haitiani. Interno suggestivo, con feritoie tra spesse mura, celle dei prigionieri aperte, cannoni del ‘500 ed una veduta panoramica a 360 gradi su città e porto fino al mare e al faro Colòn. Sul lato opposto della strada si trova la Casa de Francia che ospitò Hernan Cortès, il condottiero che nel 1521 sconfisse l’impero azteco di Montezuma. Appresso c’è l’ex chiesa gesuita, oggi Panteòn Nacional degli eroi domenicani, e a seguire il Palacio de los Capitanes Generales che contiene il prezioso Museo de las Casas Reals (1511). In questo grande palazzo rinascimentale risiedevano le autorità spagnole che amministravano l’intera regione dei Caraibi e in tempi meno remoti era la sede del Governo, mentre oggi raccoglie una mostra permanente sulla storia della scoperta, della conquista e della colonizzazione spagnola attraverso mobilio d’epoca, arazzi, abiti, armi e armature, utensili, modellini delle tre caravelle, mappe e reperti di indios. Nella piazzetta belvedere di fronte al palazzo è stata collocata una singolare meridiana detta Reloj del Sol e continuando verso nord subito la strada scende a Plaza de Espana, un vasto spazio aperto con il lato ovest occupato da una serie di raffinati ristoranti ricavati da vecchie botteghe di artigiani ed uffici doganali risalenti al 1507. In fondo, affacciato sia sulla piazza che sul fiume, fa mostra di se il suggestivo cubo dell’Alcazar de Colòn (1511) eretto con blocchi di roccia corallina in stile gotico iberico-mudejar. Residenza di 22 stanze, voluta da Diego Colombo quando divenne vice-re delle Indie nel 1509, ha la facciata composta da cinque arcate su ciascuno dei due piani ed è considerato l primo palazzo delle Americhe in stile europeo. Abitazione ma anche sede della corte spagnola d’Oltremare, tra queste mura Hernan Cortès, Francisco Pizzarro, Vasco de Balboa e Diego Velazquez pianificarono la conquista e la rispettiva colonizzazione spagnola di Messico, Perù, Panama e Cuba. Richiamato in patria nel 1523, Diego e famiglia lasciarono la dimora a parenti e questi a discendenti fino al totale abbandono e al restauro avvenuto nel 1955. Oggi il palazzo ospita un museo, il più visitato di Santo Domingo, contenente gli arredi e gli oggetti appartenuti agli antichi inquilini della casa.

Terminata questa doverosa sintesi sui principali luoghi di interesse storico, tenendo tuttavia presente che quasi ogni edificio in questa parte orientale della cittadella coloniale, quella più antica, rappresenta un tuffo nel passato.

Nella piazza c’è fermento, alcuni addetti ai lavori stanno montando un mega palco per la festa di questa sera, una “notte bianca” domenicana in cui si balla per strada, nei colmado e dovunque con musica dal vivo e, per l’occasione, l’ingresso ai musei sarà gratuito fino a mezzanotte. Dopo cena ritorno con slancio a Plaza de Espana piena di gente festosa, i lampioni gettano chiazze di luce dorata e la casa di Colombo, ornata da un paio di palme, è magistralmente illuminata. L’interminabile fiume di visitatori scorre da una stanza all’altra, soffermandosi con interesse nella camera da letto di Dona Maria de Toledo, moglie di Diego, e nel salone dei ricevimenti che porta sul patio da dove si domina la piazza. Atmosfera di puro divertimento e decisamene esaltante anche a Plaza de San Antòn, grazie ad una mega orchestra ricca di fiati e alla gente di tutte le età che balla merengue, bachata e salsa, musiche che per la loro ripetitività non mi avevano mai particolarmente coinvolto, ma questi musicisti sono straordinariamente galvanizzanti. Le ragazze chiedono di farsi fotografare con me e salutano: qui sono io l’elemento esotico e comunque socializzare in Domenicana non è mai un problema. Incontro Ignacio, impiegato dell’hotel, in compagnia della giovane scozzese Zoe, che già brilla paga da bere a tutti e salta felice: “Se mia madre mi vedesse adesso mi strozzerebbe”. Mi parla della sua esperienza di donna viaggiatrice solitaria, facendo un quadro poco edificante della mentalità locale: “Quando cammino i ragazzi mi lanciano apprezzamenti volgari, mi molestano e mi toccano, senza alcun rispetto”. Tuttavia la vedo molto presa dallo smilzo e snodato Ignacio, che parla poco ma in compenso non riesce a star fermo.

Alle spalle dell’orchestra la scenografia d’eccezione delle rovine del Monasterio de San Francisco (1508) costruito dai francescani giunti per evangelizzare l’isola, poi incendiato da Drake nel 1586 e infine completamente distrutto dai due terremoti del 1673 e 1751.

Dalla piazza seguo Calle Hostos, la viuzza che scende alla bianca e luminosa Iglesia De La Altagracia confinante con le rovine dell’Hopital San Nicolà de Bari, il primo ospedale del Nuovo Mondo. Nell’incrocio adiacente, la bandiera italiana indica l’elegante edificio della Casa de Italia diretta dal presidente Renzo Serravalle, profondamente dispiaciuto per la chiusura della nostra ambasciata di Santo Domingo, che afferma: “Abbiamo 30 mila residenti italiani, 20 mila pendolari stagionali e 100 mila turisti per un totale di 150 mila connazionali l’anno senza alcuna rappresentanza diplomatica. Matteo Renzi ha espresso il desiderio di riaprirla, speriamo”. La Casa d’Italia, importante centro culturale, rimane ora l’unico punto di riferimento tricolore nella RD. In questo prestigioso palazzo del XVI secolo in cui ha vissuto ed è morto Pedro Santana (1801-1864), primo Presidente della Repubblica Domenicana, la sera seguente assisto all’inaugurazione della collettiva d’arte moderna organizzata da ragazze italo-domenicane, con un ricco buffet e la folta presenza di giovani rampolli della Santo Domingo bene. Al mattino incontro Zoe ancora stordita dall’alcol, in versione notte da leoni, mattino da coglioni.

Mi appresto a lasciare la Città Coloniale, è il momento di proseguire il viaggio alla ricerca dei litorali, dalle spiagge più famose e frequentate a quelle più remote e deserte. Ma ciò che troverò sarà decisamente diverso da ciò ricordavo.

*Disputa tra Siviglia e Santo Domingo sulla tomba di Cristoforo Colombo. Entrambi o paesi si contendono l’onore di ospitare i resti dell’illustre navigatore.

Sono seduto ad un colmado e sto mangiando mezza baguette con salame e formaggio, quando al tg locale mostrano la foto di una signora domenicana appena uccisa allo scopo di rubarle il cellulare e pochi spiccioli, con il vociare dei presenti che commentano furiosi il dilagare della delinquenza nel paese. Torno in albergo e sento dal racconto amareggiato di Ignacio che due ore prima, in un quartiere poco distante, è stato circondato da sette balordi che lo hanno costretto a consegnargli cellulare, soldi ed ogni cosa. Nel contesto interviene Mathis, un anziano residente tedesco, che con orgoglio ci mostra il suo nuovo acquisto: un revolver pagato 100 dollari: “Che ci provino con me”. Chiedo di andare a piedi alla stazione dei bus, poco a nord, ma anche il riflessivo Julian me lo sconsiglia vivamente: “E’ un quartiere malfamato, abitato da gente povera, dove usano girare armati: per loro la vita non vale più di un fagiolo”. Questo mi riporta all’italiano ucciso a Cabarete per una manciata di pesos ed al figlio di un mio amico modenese assassinato anni fa per furto proprio a Santo Domingo. Taxisti e tutti quanti all’occasione mi lanciano questo tipo di segnale tranne Pedro, giovane titolare di un negozio per turisti sul Conde: “Sono esagerazioni e comunque tu non rischi niente, non hai orologio, anelli, catene, sembri uno di noi”. In effetti i domenicani sono un popolo cordiale, esistono tante brave persone ma anche un esercito di cosiddetti “tigre”, giovani bulli che vivono di espedienti, ragazzi di strada esercitati a delinquere. Gli stessi giornali locali scrivono di centinaia di morti l’anno ammazzati con arma da fuoco e in buona percentuale sono turisti.. Tuttavia, c’è sempre chi sostiene che “tutto il mondo è paese”.

Le notizie che precedono il mio cammino parlano di una Repubblica Domenicana invasa, da almeno 5 anni, da una ondata di violenza le cui radici vanno ricercate in un crescente disagio sociale e nel peggioramento delle condizioni economiche per una vasta parte della popolazione. La disgregazione sociale, l’abbandono scolastico e il conseguente aumento di una sottocultura deprivante, la disoccupazione, e il lavoro scarsamente retribuito fanno da sfondo a questo panorama scoraggiante e pieno di insidie.

Sono cresciuti, a livello esponenziale i delitti passionali, la criminalità di strada e il narcotraffico, accompagnati da fenomeni quali le esecuzioni sommarie della polizia nazionale, fatte passare come conseguenze fatali di scontri a fuoco e speculari tiri a bersaglio sulla polizia per derubarla di armi di ordinanza. Devo ammettere che mai come in questo paese ho sentito menzionare così tanto la parola dinero, tutto pare ruotare intorno ad esso. Anche la controversa chiusura dell’Ambasciata italiana a Santo Domingo sarebbe dovuta alla scoperta di un giro di visti facili, rilasciati in modo illecito dietro compenso.

Questo diffuso malessere, che si intreccia bene con la “percezione di insicurezza“ della popolazione, troverà riscontro nei fatti, man mano mi inoltrerò nel territorio. E’ mia consuetudine esplorare i luoghi attraverso i dialoghi e le conversazioni con altri viaggiatori che incontro e con la gente del posto, mai accompagnato da paranoie per cui ascolto, valuto e do importanza ai consigli dei nativi quando suggeriscono di usare cautela nell’aggirarsi in alcune zone giudicate pericolose per la sicurezza personale.

Mi ritrovo quindi a percorrere quei luoghi, come ho fatto in passato, ma questa volta accompagnato da stato d’animo diverso, con il desiderio di verificare di persona e approfondire il lato meno patinato e piacevole del paese. Utilizzo i bus di linea della Carribe Tours e, fuori dalle mura, tutto appare diverso, più caotico e trasandato, con montagne di immondizia ad ogni angolo. Le strade invase da un traffico intenso passano attraverso i grattaceli del Malecòn (lungomare) ed i quartieri residenziali protetti da un esercito di guardie, circondati da una sterminata periferia fatta di sobborghi fatiscenti e  bidonville. La spiaggia di Boca Chica la trovo poco rilassante per l’ingente presenza di “tigrotti” da operetta (traffichini) e di invadenti haitiane dedite alla vida alegre. La chilometrica spiaggia di Punta Cana è perfetta per chi ama i viaggi organizzati o un tipo di turismo preconfezionato, tuttavia trovo i prezzi della miriade di escursioni decisamente eccessivi rispetto alla realtà economica dominicana.

Faccio un breve tratto in taxi, la polizia si accorge della presenza di uno straniero sul mezzo ed intima all’autista di fermarsi. Il più alto i grado si rivolge al driver sorridente, non per chiedere documenti o altro, ma un personale contributo per arrotondare il magro stipendio: “Non mi offenderei se mi offrissi la colazione”. Il driver ha già pronto 60 pesos. Una sorta di pedaggio per tacito accordo, molto diffuso nei paesi del terzo mondo e nell’ex Unione Sovietica.

A Bavaro Beach salgo sul motoconcho (mototaxi) di Jochi il quale subito mi avverte: “Fai attenzione, non c’è da fidarsi di nessuno, tutti vorrebbero derubarti in un qualche modo … a me piace dire le cose come sono”. Lo guardo perplesso perché ho la sensazione che a volte quelli che mi invitano a fare attenzione siano i più inaffidabili. Al mio invito a spiegarsi meglio, aggiunge: ”Qui attorno ci sono tanti luoghi belli che fino a qualche anno fa erano tranquilli mentre ora sono insicuri non solo per i turisti”. E con tono solenne precisa: “Da una statistica del Governo pubblicata sui giornali emerge che il 25% della popolazione dominicana è malavitosa“. Di certo Jochi non è nazionalista….

Incuriosito, dal cellulare clicco su Google e in un attimo trovo informazioni più accreditate nel tentativo di mettere insieme i tasselli di un mosaico fatto di narrazioni virtuali e reali.  Leggo la classifica sul tasso di omicidi stilata dalle Nazioni Unite su 180 paesi, nei primi venti ben 16 sono nell’area dei Caraibi e tra questi la Repubblica Dominicana. Quello che di primo acchito avevo interpretato come un chiacchierio da bar, trova dunque riscontro nei report ufficiali.

Il viaggio nella parte oscura di questo “paradiso perduto” continua quando Jochi mi conduce da Claudia di Carpi che gestisce una caffetteria a Cortesito, luogo di aggregazione di molti italiani. Da sei anni vive in RD:  “I dominicani?… sono senza morale e privi di scrupoli; per due pesos venderebbero anche la madre”.  Ma La testimonianza più drammatica è quella di Tiziano che dopo un anno da residente, ha deciso di mollare tutto e tornare in Italia: ”Bisogna fare molta attenzione a quello che si fa, a dove si va e con chi si va in giro. Anche se non si cercano problemi penseranno i domenicani a crearveli, anche fra loro non fanno altro che ingannarsi. Una sera, sotto casa mia, hanno ucciso a coltellate un ragazzino del luogo solo perché era ben vestito e con il cellulare, gli assassini pensavano che avesse anche dei soldi e invece aveva solo 50 pesos,  equivalenti ad  un euro .. E’ solo un esempio per far capire come la vita da queste parti non valga niente”. Aggiunge poi: “Fuori dai perimetri dei resort turistici, protetti da guardie armate, non c’è da fidarsi di nessuno, neppure della polizia .. quello che si vuole è solo dinero”. Chiude il cerchio una bionda signora di Milano che racconta di avere perso il compagno dominicano, ospite di un “collega” che per derubarlo lo ha ucciso mentre dormiva: “Lo ha tramortito alla testa con un bastone, lo ha poi trascinato sulla riva di un ruscello, dove lo ha finito con un colpo di pistola alla nuca … ed erano amici”.

Sconcertato e turbato, mi dirigo verso la zona di Barahona, verso sud-ovest, dove belle  spiagge selvagge e deserte sono il regno di minuscole zanzare che mi rendono la vita impossibile. Ritrovo poi il piacere di camminare nelle spiagge della costa atlantica, nella penisola di Samanà, in particolare a Las Terrenas, mentre la città preferita rimane Puerto Plata a nord. Da qui faccio un’escursione nella coloratissima Haiti passando per Dejabòn e, sempre da Puerto Plata, un piccolo aereo di linea mi  porta alle belle e tranquille isole britanniche Turks and Caicos, da non perdere!

La natura nella RD è sempre bellissima e, per fortuna, non incontro problemi, anche se ovunque vada: Santiago, Bavaro, Bayahibe, Juan Dolio, Rio San Juan, Las Galeras, trovo sempre chi mi avverte di fare attenzione, specie dopo il tramonto  e penso: “Proprio come a Los Angeles, Miami, Chicago, New York, Rio de Janeiro, Caracas, Lima, Bogotà, Panama, Managua, San Juan de Portorico, ecc.”. Constatazione oggettiva che mi riporta alle gang giovanili endemiche di queste zone, alla “natura” violenta che accomuna un po’ le genti di tutte le Americhe, dove l’assetto sociale e la convivenza non sono stati adeguatamente organizzati. Per certo la criminalità diffusa si annida dove il divario fra la povertà e la ricchezza ostentata è visibile e tangibile, dove le armi circolano con facilità, dove non c’è controllo sociale e l’ignoranza e il disagio esistenziale regnano sovrani. Qui come altrove.

Al ritorno a Santo Domingo constato che la Ciudad Colonial rimane una “isola felice”, una cittadella che racchiude il patrimonio storico e culturale del paese, sicuramente la più sicura e protetta della capitale.

Il mio ritorno in Italia diventerà una occasione per recuperare i mille ricordi di una terra nella quale in passato ho vissuto momenti indimenticabili .. un pò come rimpiangere qualcosa che non esiste più, salvo qualche eccezione.