Viva Abbash – Diario di guerra dal fronte palestinese: Operazione “Talet Musa” – 3P

Cecchini. Alla partenza siamo in cinque, guidati da Hassan, tutti sui vent’anni. Uno ha un vecchio fucile a colpo singolo con un grande mirino a cannocchiale da safari, gli altri tre sono armati con il solito mitra russo Kalashnikov. Scendiamo un sentiero alle spalle di Sciuna e incontriamo alcuni soldati del re, in rozze uniformi stinte, che ci ordinano di tornare indietro. I quattro li trattano con noncurante disprezzo e senza preoccuparci delle minacce superiamo il blocco e continuiamo indisturbati; è così che ogni tanto si sparano tra arabi. Camminiamo a lungo senza soste, attraversiamo zone ricche di vegetazione e ad un ruscello ci abbandoniamo a bere, a lavarci dal sudore e ci sistemiamo per uno spuntino a base di formaggio ed erbe commestibili che i ragazzi staccano dal suolo. Attraversato il ruscello, la marcia rallenta, si entra in una zona meno tranquilla, i quattro si fanno più guardinghi ed io con loro. Avanziamo distanziati e chini, preceduti da Hassan, che osserva e ci fa segno di seguirlo. Procediamo così fino a quando troviamo un campo arido e quindi senza protezione. Decidono di aggirarlo scattando da una macchia verde all’altra fino a trovarci sulla riva del Giordano, sopra ad una collinetta in un punto panoramico e strategicamente favorevole. Il promontorio è folto di alberi e sulla sinistra, più in basso oltre le acque, è ben visibile un forte “nemico”. Coi binocoli lo scrutano attentamente e mi spiegano che è difficile colpire qualcuno perché, proprio per evitare gente come loro, non escono quasi mai allo scoperto ma controllano l’esterno solo con potenti periscopi. Bisogna quindi attendere con pazienza che qualcuno commetta l’imprudenza di esporsi e cercare di colpirlo, ma può capitare di stare qui una o più giornate senza che ciò avvenga. A parte qualche foto scattata ai ragazzi, è evidente che col mio ‘potente obiettivo’ non sono in grado di riprendere altro, particolare che rende ancora più assurda la mia presenza. Tuttavia, questo concentrato di adrenalina m’intriga. Non ci sono convinzioni politiche, la mia presenza qui è dovuta al caso, alla curiosità e all’istintiva simpatia per dei coetanei che rischiano la vita per un proprio ideale.

Dopo appena una ventina di minuti dal nostro arrivo, l’addetto al binocolo sembra aver scorto un possibile bersaglio e lo mostra contento agli amici. Eccitati si appostano tra il verde e mi dicono di infilarmi in un grosso cilindro di cemento adibito a scarico di fognature mai terminate per via della guerra. Questo perché nel caso individuino da dove è partito lo sparo potrebbero bombardare col napalm, così secondo loro dovrei essere più protetto (?). Sto rannicchiato dentro a questo tubo senza capire cosa sta succedendo e cosa potrà succedere. Parte il colpo che sibila sulla valle in direzione dell’avamposto. Subito fanno segno che il tiro è sbagliato. Dopo pochi secondi dal forte partono scariche caotiche di mitraglia, sparano ad intervalli ed in direzioni diverse. Questo mi conforta: fortunatamente non ci hanno localizzato. Seriamente dispiaciuti per non avere colpito nessuno, i ragazzi si appostano nello stesso punto e riprendono a maneggiare avidamente il binocolo. Devo attendere poco per sentirmi ripetere di tornare al riparo; questa “faccenda del tubo” non mi piace per niente e mi sta preoccupando.

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