Tra i due Yemen – Sana’a, Tabriz e Zabid
Oggi è sabato 17 marzo, il nostro terzo giorno a Sana’a. Mattinata “per uffici” trascorsa fra il cambio di traveller’s cheque alla Citybank, col dollaro a 4,50 rial, e il telegramma e la telefonata in Italia alla posta centrale. Oggi il sole si alterna alla pioggia e le strade sterrate del centro, piene di carte e robe varie, sono un mare di fanghiglia. In molti camminano scalzi. Alcuni uomini, con fare amichevole, ci invitano ad entrare nella loro katteria, composta da un paio di ampie stanze buie con colonne e letti pieni di gente coricata intenta a succhiare foglie di kat. Il pavimento è invaso da mucchi di rami e foglie scartate o già usate.
Vedono che siamo perfettamente a nostro agio, ci indicano una piattaforma in legno con cuscini dove coricarci. A titolo di dono, ci passano un’infinità di rami di kat che succhiamo, curiosi di capirne gli effetti. Sono tutte persone brave e non fanno mai battute stupide, come potrebbe invece essere in altri paesi arabi con dei viaggiatori cristiani occidentali. Anzi, si dimostrano contenti e addirittura grati di poter condividere questa esperienza con noi. Ne usciamo dopo un paio d’ore più tonici per il kat ed un feeling generale comune molto positivo.
Andiamo al bazar, dove ci sono fumerie e sale da tè. Passiamo dal letto della katteria al letto della fumeria, anche qui con soffici cuscini e l’aggiunta di grandi narghilè alti 80cm, carichi di tabacco dolciastro, con un tubo molto lungo che si può usare anche da coricati. Il kat comunque non manca mai. L’alcol è ovviamente proibito. Volendo, si trova una birra ma costa ben 13 rial, tre dollari. Narghilè a parte, noto che mentre in Sudan tutti fumano le Benson, qui nello Yemen si fuma solo Rothmans, entrambe di produzione inglese. Può sembrare una osservazione da nulla, ma rispecchia la guerra per la suddivisione dei mercati da parte dei big brand, le marche forti.
Tra un tè e l’altro decidiamo di andare a Taizz domani, viene anche Francisco. Prenotiamo il biglietto alla stazione dei bus che si trova a Bab al-Yemen: parte alle 7 e costa 35 rial. I taxi accanto ne chiedono 500, trattando si può arrivare a 300. Se il taxi è collettivo allora il prezzo cala a 50 rial a passeggero. Qui conosciamo Ahmed, un simpatico freak yemenita di 26 anni che ci invita per un tè a casa sua, in una torre poco distante. Finalmente possiamo vedere con calma una casa-torre al suo interno.
Atmosfera in stile mediorientale che Ahmed ha arredato con un mega impianto stereo, circondato da drappi, tappeti e cuscini dovunque. I genitori sono morti e lui è rimasto solo ma rifiuta di sposarsi per restare libero: “Chi è sposato alla sera non può uscire facilmente perché la moglie s’incazza”. Alla parete ha affisso i manifesti occidentali raffiguranti donne bionde e prosperose che reclamizzano reggiseni e mutandine. Ahmed è un bel ragazzo, molto sveglio, e si vanta di avere molte donne: “La prima volta che riesco a farle venire a casa mia, con la lusinga del matrimonio, mi fanno vedere solo gli occhi e le mani. La seconda volta solo il corpo nudo ma non il viso. È il momento in cui si spoltiglia, con il membro fra le cosce.
Alla fine, riesco a vedere anche il viso. Se non mi piace sparisco per due settimane, sino a quando non viene più a cercarmi”. Non è pericoloso per le ragazze farsi vedere con te? – chiediamo. Ci rassicura: “Anche se la gente vede che salgo in casa con una donna, lei non è riconoscibile perché è completamente coperta”. E aggiunge: “Nessuno conosce il volto delle donne, soltanto i propri famigliari. Le case hanno vetri e tende impenetrabili. Provare a guardare dentro è pericoloso, anche un passante può aggredirvi”.
Confessa poi di avere un amante fissa: “Ho una di 30 anni che non chiamo spesso perché lei vuole fare all’amore nove volte al giorno ed io aspetto di avere dell’anfetamina per chiamarla”. Ahmed si esprime a ruota libera e non lesina sui dettagli: “Le donne arabe non sono come le occidentali, a letto niente cose strane, solo baci e coito”. Ci spiega un altro aspetto interessante della loro cultura: “Se metto incinta una ragazza, il padre di lei deve pagarmi perché io la sposi e per farmi star zitto per evitargli il disonore”.
Ahmed precisa di non essere omosessuale ma al Cairo gli è stato chiesto e con candido entusiasmo racconta la sua esperienza: “Per una settimana ho scopato, quattro volte per notte, un bestione di egiziano che mi pagava pure. Io non ho chiesto nulla ma lui addirittura mi pagava, meglio di così?”. Il Cairo è visto come la Parigi del mondo arabo: “Cabaret, danza del ventre, donne, whiskey, trasgressione … una free-town”. Dice che al Cairo ci sono molti bisessuali ma nello Yemen non è così. In generale, l’uomo yemenita è molto fedele e ligio ai dettami del Corano: “Halla’ ci osserva!”. Dal Cairo, Ahmed andò poi in Dubai dove racconta di essere stato in una clinica perché era in down di Valium e non riusciva più a smettere.
All’interno delle mura che racchiudono il superbo centro storico di Sana’a, in pochi passi si raggiungono un po’ tutti le zone di principale interesse. Noi alloggiamo in una stretta viuzza tra l’edificio del Ministry of Health e l’hotel Escander, distanti appena una trentina di metri da piazza al-Tahrir, dove si trova la moschea Qubbat al-Mutawaklkil, una delle più antiche al mondo, ed il National Museum, quest’ultimo allestito nel “Palazzo della Gratitudine” che fu una delle residenze degli Imam sovrani del Regno di Yemen, durato dal 1918 al 1962. Già lo stesso palazzo, di per sé, merita una visita. Le sale espongono i tanti manufatti raccolti in diversi siti archeologici e della antica storia dello Yemen, compreso quelli di Marib, l’antica capitale del regno di Saba, 140km a est di Sana’a, che per alcuni sarebbe l’antica Saba di fama biblica.
Regno molto ricco menzionato nell’Antico Testamento e nel Corano, noto ancora oggi per la celebre Regina di Saba che avrebbe visitato re Salomone a Gerusalemme attorno al 1000 a.C. Fatto che testimonia la presenza di una società matriarcale, in cui il potere politico era passato ai discendenti monarchici per via femminile. Secondo ciò che leggiamo, pare che i romani provarono a rompere le scatole pure qui: nel 25 a.C., Elio Gallo di Roma guidò una spedizione a Marib, assediando la città. Subì gravi perdite e fu costretto a ritirarsi in Egitto.
Domenica 18 marzo, si parte con l’intento di seguire l’unica strada che fa il giro completo del nord Yemen. Per viaggiare leggeri, alle 6,30 portiamo gli zaini a casa dell’amico Ahmed e alle 7 saliamo su di un nuovissimo autobus diretti a Taizz. Comodamente seduti vediamo susseguirsi montagne, vallate, risaie a terrazza, paesi e scenari rurali notevoli, sempre ad un’altitudine attorno ai duemila metri. Traffico di auto private quasi inesistente, sarebbe stato problematico scegliere di muoversi in autostop. Alle 10,30 il bus sosta nella stazione di Ibb. Le donne non scendono, è il marito che va a prendere i piatti al ristorante, aspetta che la consorte abbia terminato di mangiare e riporta i piatti vuoti al mittente.
Dal bus non vediamo nulla di interessante che ci spinga a scendere e continuiamo per Taizz, dove arriviamo alle 12,15: 260km in 5 ore. Le città attraversate lungo il percorso sono tutte meno interessanti della capitale, mentre il primo impatto con Taizz è notevole, intrigante. Siamo ora nel sud-ovest dello Yemen del Nord, negli altopiani yemeniti ad un’altitudine di circa 1.400 metri sul livello del mare. Taizz è la terza città più grande del Paese, dopo Sana’a e Hodeida, ed è reputata la capitale culturale dello Yemen. Troviamo subito, senza troppo faticare, un letto al Taiz Hotel per due dollari a testa, ambiente decisamente migliore della nostra locanda di Sana’a. La città ha molti vecchi quartieri, con case costruite dai tipici mattoni marroni e le moschee totalmente imbiancate. Il nucleo storico della città ruota attorno allo scenico cono roccioso del castello di al-Qahira (Cairo), del XII secolo, che domina la città a 360 gradi da un’altezza di 450 metri.
Un rapido sguardo ai luoghi di ristoro e, spinti dalla fame, scegliamo di entrare nel ristorante di Nedim, un giovane uomo trasferitosi qui da Aden nel 1970. Con nostra grande sorpresa, Nedim parla un buon italiano. Dice che fino a dieci anni fa c’erano molti italiani ad Aden: “Questo, prima dell’arrivo dei sovietici che hanno imposto l’unico regime comunista di tutto il mondo arabo”. Per lui Aden è molto bella, con torri in argilla di dieci e undici piani affacciate sull’oceano Indiano. Sull’invasione di dieci giorni fa, racconta che le truppe sud yemenite sono arrivate fino a dieci chilometri da Taizz: “Si sentivano i combattimenti”.
Davvero interessante sentire a viva voce quali sono i due schieramenti avversi del momento in questo confronto: Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Iran, Regno Unito e Stati Uniti sostengono lo Yemen del Nord, mentre Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Iraq, Libia e Cuba quello del Sud. Curioso, costatare che in altri scacchieri strategici gli stessi paesi che qui sono uniti altrove si trovano su fronti opposti, secondo gli interessi della situazione e del momento. Prima l’Egitto di Nasser filosovietico tutelava lo Yemen del Nord e sia Arabia Saudita che Giordania gli erano contro mentre ora sono alleati. L’Arabia sunnita e l’Iran sciita confliggono da sempre, eppure qui convivono. L’Unione Sovietica dallo Yemen del Nord passa poi a tutelare lo Yemen del Sud. Nell’Ogaden, i russi prima erano con i somali contro gli etiopi ed ora sono con gli etiopi contro i somali. Ed anche contro gli eritrei. Parlando con la gente comune nei rispettivi paesi coinvolti una cosa emerge con chiarezza: i russi sono rudi e burberi e non piacciono a nessuno.
Purtroppo, Taizz si trova tra i due Yemen, in una zona molto contesa ed è, suo malgrado, un potenziale campo di battaglia naturale. Guerre a parte, il pollo intero arrostito da Nedim è ottimo e ci costa l’equivalente di 4 dollari. L’acqua è potabile e buona, essendo la città alle pendici del monte Sabr di 3 mila metri, la montagna più alta dello Yemen. Nedim mi fa poi segnare, sul taccuino, caratteristiche ed informazioni utili dei vari paesi che ci apprestiamo a visitare. Nadim continua a parlare: “Mokha e Hodeida sono insignificanti, Zabid ha belle architetture, Bait un bellissimo souq o mercato e Khoka è la spiaggia più bella dello Yemen. Per raggiungere Khoka andate fino ad Hays e vedete se c’è ancora il treno. A Manakha, l’unico posto dove dormire per 10 rial è al Fondok Mohamed”.
Non tranquillo, il bravo Nedim vuole ora istruirci per bene su come funzionano i trasporti: “Il giro antiorario che fate voi dai trasporti locali è diviso in tre tratte: Sanaa-Taizz di 260km; Taizz-Hodeida di 270km ed Hodeida-Sanaa di 220km. I taxi collettivi, che caricano da 6 a 8 persone, chiedono per ogni tratta 50 rial, poco più di un dollaro. I taxi a targa gialla sono quelli che fanno trasporto collettivo, i camion a targa rossa fanno lo stesso servizio e costano la metà, mentre il bus è più economico del taxi ma più caro dei camion”. La lingua di questa regione è il Taizzi-Adeni. Per chiedere alla gente dove si trovano i taxi, basta dire: “Mahat taxi?”. L’autostop, ribadisce Nedim, è comunque facile, specie per voi che destate curiosità essendo viaggiatori occidentali.
Nedim viene con noi al souq, mercato bello ma non come quello di Sana’a. Vediamo delle donne col viso scoperto che indossano vistose collane, braccialetti ed orecchini in oro. Neppure Nedim sa di quale tribù siano, a Sana’a non ci sono. Le altre donne sono vestite col solito abito nero ma con un velo trasparente e aderente al viso, dai colori verde, viola, giallo. Belle donne. Anche questa versione del velo non l’abbiamo vista a Sana’a. Altra differenza rispetto alla capitale: qui molte giovani tengono la gonna attillata al corpo e si muovono in modo aggraziato e femminile. Quando le incroci, lo sguardo è talmente intenso e malizioso da stupirci e a volte imbarazzarci. Non potendo fare altrimenti parlano con gli occhi, molto più veritieri e sensuali di qualsiasi parola.
“Energia laser” che usano anche come arma: scatto una foto ad una donna che non dice nulla ma mi lancia un’occhiata fulminante, quasi da incendiarmi la macchina fotografica. Salutato Nedim, saliamo in collina a visitare un paio di moschee tra strade fangose e goderci dall’alto il panorama di Taizz, antica capitale yemenita fino al 1500, poi dal 1516 inizia il dominio ottomano della penisola arabica durato ben quattrocento anni.
Lunedì 19 marzo, giorno di San Giuseppe e Festa del Papà, ma mio padre è ad esibirsi con la sua orchestra in Austria, da me irraggiungibile per gli auguri. Ci mettiamo tutti e tre in strada di buon’ora e proviamo a fare l’autostop. Il primo mezzo che passa si ferma e ci carica. È un camionista che va ad Hays, distante 120km, e parla un italiano semplice, appreso da lavoratori italiani: “Aden dittatura, poco mangiare. Kat contrabbando da Etiopia, più economico. Polizia taglia mano a ladri e taglia testa in piazza a assassini”. È chiaro che ad Aden “tira una brutta aria” e tutti hanno paura a violare la legge. Si ferma a fare benzina, 6 rial al gallone.
Ai posti di blocco, la polizia chiude la strada mettendo delle assi piene di chiodi al suolo. Giunti ad Hays, l’abitato non è sulla strada principale ma un po’ all’interno. Al bivio per la spiaggia di Khoka, distante 28km, i militari dicono che passa qualche taxi ma ad orari non fissi. Diamo 20 rial a testa al camionista e decidiamo di andare prima a visitare la città di Zabid, più avanti di una quarantina di chilometri. La stessa polizia ci aiuta a trovare un passaggio e in breve siamo dentro le mura di Zabid, altra ex capitale storica molto bella e ricca di architetture singolari, una delle città sante dell’Islam, famosa per la sua università islamica dove si ritiene abbia contribuito ad evolvere l’algebra. È divisa in quattro quartieri: quello degli studenti, quello dei commercianti, quello dei dignitari e quello degli artigiani.
Alloggiamo da Hussein, titolare del Fundok Zebit per dieci rial a testa, compresa la colazione. Ha un cortile interno con letti in corta dov’è piacevole rilassarsi. All’ingresso, nel librone degli ospiti ogni freak che è passato da qui ha lasciato la propria impressione, da osservazioni banali ad esaltanti e meravigliose affermazioni mentre alcuni hanno scritto di avere addirittura trovate se-stessi a Zabit.
Hussein, davanti ad una fumante tè al latte con cardemomo, versione locale del chai masala indiano, tiene a precisare che lo Yemen è tra i Paesi più poveri del mondo, con condizioni di sottosviluppo diffuso e dipendenza pressoché totale da aiuti esterni. Nel 1962 a Sana’a fu proclamata la Repubblica Araba dello Yemen e dall’anno scorso, nel 1978, è iniziato un regime autoritario, dittatoriale.
Al sud, invece, dopo che nel 1967 i britannici se ne sono andati da Aden, nel 1970 è stato instaurato il regime marxista della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen. Le posizioni rivoluzionarie del governo dello Yemen del Sud hanno causato il suo isolamento all’interno della penisola arabica. Le monarchie assolute della regione si considerano minacciate. In particolare, l’Arabia Saudita che promuove e sostiene le incursioni armate dei gruppi di opposizione. Al mercato di Zabit troviamo degli anelli antichi in argento, ne acquisto uno per 6 dollari. Dopo cena vediamo molti giovani per le strade, studenti ovviamente più colti della media, che hanno voglia di scambiare opinioni. Ci raccontano che la gente critica il nuovo presidente e parla molto bene, invece, del vecchio presidente ucciso otto mesi fa in un colpo di stato: “Era un civile e aveva tolto potere ai militari, aveva aperto una mensa per poveri, inoltre il whiskey non era più proibito e costava poco”.
Non vogliono più saperne di andare a letto presto e di certi obblighi dettati dalla tradizione. I miti dell’Occidente inquinano le menti anche qui a “trivella”. I film e la musica di sottocultura inviati dall’America creano dei desideri, ai nostri occhi, penosi. Ma i padri vigilano, i vecchi e fieri montanari yemeniti non cedono.
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