Nella foresta del Sarawak

Dayak in sintesi. A prima vista, la popolazione del Borneo può sembrare etnicamente alquanto uniforme anche perché solitamente si considerano i Dayak come gli unici abitanti originari dell’isola. In realtà, pur essendo conosciuti col nome generico di ”dayak”, dall’espressione malese ”orang-dajak” che significa uomo dell’entroterra, sotto questa denominazione sono comprese oltre 200 tribù che differiscono tra loro sensibilmente nella lingua, nella foggia del vestire, nella tipologia delle abitazioni, nelle attività artigianali e in molti altri aspetti attinenti l’organizzazione sociale e la cultura.

Tutti i gruppi Dayak hanno tuttavia una comune caratteristica: essi vivono lungo i fiumi e praticano la risicoltura. I Dayak della costa invece, sono coloro che nel corso dei secoli, si sono fusi con cinesi e altri gruppi asiatici. Per quanto riguarda la religione, le differenze sono meno marcate in quanto il cristianesimo ha fatto molti proseliti, soppiantando in parte le antiche credenze. Tuttavia, i culti animisti sono ancora presenti in vaste aree dell’isola. Gli antenati degli attuali Dayak sono i protomalesi che giunti nel Borneo duemila anni prima di Cristo introdussero nell’isola la cultura Neolitica. Seguì l’ondata migratoria dei neomalesi, con la cultura Dong Song originaria del Tonchino, che sospinsero i primi dalle coste verso l’interno.

Gli antichi Dayak rifiutarono d’integrarsi con le strane leggi dei nuovi arrivati e in epoca più recente con la religione musulmana che vietava loro di mangiare il maiale; ricrearono così le condizioni dello splendido isolamento perduto, sviluppando differenti sistemi di vita. I nomi delle varie tribù molto spesso indicano l’area geografica di appartenenza: l’altopiano, la valle e soprattutto il fiume lungo il quale sorge o sorgeva il proprio villaggio d’origine.

Il viaggio. Il collegamento via terra fra Bintulu e Sibu, ancora in tempi recenti, richiedeva diversi giorni di viaggio: passava per Belaga seguendo con un ampio giro nell’entroterra i corsi dei fiumi Kemena, Tubau, Belaga e Rajang. La realizzazione della strada parallela alla costa e le piste camionabili tracciate dalle compagnie del legname attraverso la giungla hanno relegato alla storia questo bellissimo percorso di trekking e canoa che, tuttavia, continua ad attrarre i viaggiatori stranieri. Purtroppo è diventato tristemente noto, nella regione, il dramma del giovane tedesco che, avventuratosi in questo tratto in solitario, è scomparso nel folto della foresta. Con l’amico Marcello abbiamo completato il percorso con l’ausilio di guide indigene reclutate in loco di villaggio in villaggio, una scelta che si è rivelata il migliore degli investimenti. Quando possibile cercate però di scegliete gli accompagnatori più anziani o quelli meno “vispi”, per evitare di dover correre e saltare come scimmie.

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