Il Castello di Torrechiara – Un gioiello architettonico e artistico sullo sfondo di un grande amore – 1P
È una giornata di sole di una primavera che fatica ad arrivare, l’aria frizzantina, il cielo limpido e terso mi induce a dirigermi in camper verso i colli che da Parma risalgono l’antica valle di Langhirano. Il paesaggio mi appare subito incantevole, illuminato da una luce insolita che permette di vedere nitidamente, da una parte le colline e le montagne appenniniche punteggiate e ricamate da vigneti e, dall’altra, le Alpi in tutto il loro bianco splendore.
Diciotto chilometri a sud di Parma ed ecco apparire il superbo Castello di Torrechiara, collocato sulla cima di una collina rocciosa alla porte della Val Parma, costruito fra il 1448 e il 1460 dal marchese Pier Maria Rossi. Da lontano, per le sue alte mura, mi ricorda certi monasteri tibetani. Mi dirigo al parcheggio, già occupato da una decina di camper, una breve salita a piedi e mi trovo di fronte a un maniero quattrocentesco dalle linee architettoniche a cavallo tra il Medioevo e il Rinascimento. Il costo d’ingresso è di appena 4 euro e la guida, incontrata alla biglietteria, mi racconta che quello di Torrechiara è un esempio tra i più significativi e meglio conservati di architettura castellare italiana.
Pier Maria Rossi (1413 – 1482), ideatore e proprietario del castello, conte di Berceto e marchese di S. Secondo è stato sicuramente uno dei personaggi più interessanti del ‘400 al pari, si narra, di Lorenzo il Magnifico. Proveniva da una famiglia aristocratica che possedeva numerose rocche nei dintorni di Parma; di professione condottiero, o capitano di ventura, godeva di grande prestigio, per cui fu al servizio dei duchi di Milano, dei Visconti e degli Sforza, per i quali condusse numerose campagne militari, ottenendo fama e successo tanto da diventare un assiduo frequentatore della corte milanese dove incontrò e si innamorò perdutamente della duchessa Bianca Pellegrini, giovane, bella e sposata come lui.
Raffinato e colto umanista e intellettuale, amante della musica e della poesia, conosceva le scienze matematiche e architettoniche, tanto da essere lui stesso il probabile artefice del maniero di Torrechiara fatto erigere per vivere, all’insegna di una sfrenata passione, la sua storia d’amore con Bianca. Erano anni in cui i matrimoni nobiliari non avevano molto a che fare con l’amore per cui fiorivano dimore di alto lignaggio e manieri nei quali vivevano separatamente e pacificamente mogli, mariti ed amanti col benestare di tutti. Infatti, mentre la residenza ufficiale della moglie rimarrà il castello di San Secondo, in onore dell’amata Bianca, il nobile Pier Maria costruirà il castello di Roccabianca, nei suoi possedimenti della bassa parmense, e soprattutto lo spettacolare Castello di Torrechiara, dove i due amanti vivranno la loro folgorante passione amorosa fino alla fine della loro vita. Confesso che sto subendo il fascino di questo avventuriero di nobili origini, mercenario di lusso, che ama frequentare le corti, paragonabili ai salotti del jet set attuale, in cui cultura, scienza, arte e gossip hanno come sfondo l’attrazione per il rischio, il coraggio, il bisogno di popolarità e di successo, la seduzione… Corti e salotti in cui nascono storie d’amore fatali che segnano profondamente il destino di pochi privilegiati.
Ma entriamo nel maniero … sono curioso di vivere un’esperienza destinata sicuramente ad alimentare il mio immaginario.
Il colpo d’occhio mi restituisce immediatamente la funzione prevalentemente difensiva del castello: tre cerchia di mura e quattro torri angolari, mentre la residenzialità della struttura si coglie dalla ricchezza degli affreschi a “grottesche” attribuite a Cesare Baglione. Rimango immediatamente incantato dalla “Camera d’Oro”, realizzata da Benedetto Bembo, per celebrare la delicata storia d’amore tra Pier Maria e Bianca Pellegrini e, allo stesso tempo, la potenza del casato attraverso la raffigurazione di tutti i castelli del feudo. Amore, ricchezza, nobiltà all’ennesima potenza.
Le tre cerchia di mura erano disposte in modo strategico: la prima circondava la collina su cui sorge, la seconda proteggeva il borgo e la terza riparava il castello vero e proprio. Per superare ogni cerchio di mura era necessario passare attraverso un ponte levatoio, di cui ancora oggi è possibile intuire la presenza dalle scanalature sul muro sotto cui si passa per accedere al castello. Vi erano in origine anche due fossati, uno a protezione del borgo, l’altro del castello, l’unico visibile ancora oggi. Il fossato, contrariamente a quanto si può pensare, è sempre stato asciutto per specifica richiesta di Pier Maria Rossi, affinché un soldato che tentava la scalata al castello potesse essere facile bersaglio delle guardie e non si potesse nascondere nell’acqua. Le mura erano inoltre costruite su alte scarpate in modo da rendere difficile la scalata ai nemici e resistere meglio ai proiettili delle prime armi da fuoco in dotazione ai soldati.
Altro sistema di sicurezza perfettamente conservato è rappresentato dalle torri quadrate, collegate fra di loro da una doppia cinta di mura, che circoscrivono il cortile interno o Corte d’Onore. La torre di S. Nicomede si trova sopra l’omonima cappella dove pare vi siano le tombe vuote di Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini. Da qui possiamo osservare tutta la valle del Parma verso Langhirano. A Ovest la torre del Giglio, così chiamata perché è raffigurato lo stemma di Bianca Pellegrini. La torre che guarda ad est è invece detta la torre della Camera d’Oro, dove è ubicata la splendida e celebre stanza omonima. A Nord si trova la torre più alta, il mastio, detta torre del Leone, dallo stemma nobiliare della famiglia dei Rossi. Da queste torri, grazie a feritoie e caditoie, potevano essere lanciati detriti e acqua bollente verso il nemico mentre le altezze delle torri e delle cortine murarie sono antesignane e paragonabili alle armonie musicali, ispirate alla geometria pitagorica e ai concetti filosofici che influenzarono l’arte rinascimentale.
Lasciato l’esterno rivestito di mattoni, tipico dell’architettura dei castelli dell’Italia centrale, entro nelle sale affrescate a “grottesche”, stile pittorico che farà tendenza tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.
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