Il Castello di Torrechiara – Segreti d’amore racchiusi in un gioiello architettonico e artistico – 2P

Dopo il 1575, gli Sforza di Santa Fiora trasformarono la geometria del maniero: fecero costruire le due ampie logge panoramiche affacciate sul torrente Parma, abbassarono le mura difensive, allargarono porte e finestre, trasformarono gli spalti in frutteti e giardini pensili, accentuando la funzione residenziale del castello. È in questo periodo che Sforza di Santa Fiora fece realizzare i primi affreschi del Cinquecento. A completarli sarà l’erede Francesco Sforza (1562- 1624) che incaricò Cesare Baglione di ricoprire tutte le stanze di affreschi.

L’interno ci appare in tutto il suo splendore, ricchissimo di sale sontuosamente affrescate principalmente a temi naturalistici, fantastici e a grottesche. I nomi delle sale richiamano il tema principale dell’affresco. Di grande interesse l’Oratorio di San Nicomede, costruito in un ambiente a pianta quadrata, occupa il pian terreno dell’omonima torre a cui si accede dal portico della corte attraverso un portone di legno. La volta dell’oratorio fu affrescata, sempre da Cesare Baglione (1525 – 1590) con immagini simili a quelli della stanza del Vespro, del Meriggio e dell’Aurora: un cielo con nubi chiare e uccelli. Al centro, nel punto di incrocio fra i costoloni della volta si trova un medaglione che raffigura un agnello, simbolo dell’originaria funzione sacra della sala. Nelle lunette centrali, benché con ampie lacune, si vedono paesaggi fantastici con città e rovine.

Gli unici arredi risalenti al ‘400 provengono dall’oratorio stesso e ora sono custoditi all’interno del Museo del Castello Sforzesco di Milano. Per l’altare Pier Maria Rossi fece realizzare il polittico raffigurante la Madonna in trono con il Bambino e i santi Antonio Abate, Nicomede, Caterina e Pietro Martire (1462) firmato, ancora una volta, da Benedetto Bembo. Il direttore della Galleria Nazionale di Parma tra il 1894 e il 1896, Corrado Ricci, formulò l’ipotesi che il volto di Maria dipinto fosse il ritratto di Bianca Pellegrini. Inoltre, secondo le cronache, Bianca e Pier Maria assistevano alle funzioni dietro ad una tribunetta lignea, anche questa conservata al Castello Sforzesco, intarsiata con gli stessi motivi presenti nelle formelle della Camera d’Oro. Subito alla sinistra della cappella, si entra nella sala di Giove, affrescata dal Baglione. Nel soffitto con volta a botte, ci viene segnalata una cornice dentro cui è rappresentato Giove intento a scagliare un fulmine e con accanto un’aquila, suo simbolo. Il resto della stanza è decorato a “grottesche” con putti, cornici, architetture fantastiche, mostri, ibridi umani, animali e vegetali, storie mitologiche, scene bizzarre e paesaggi alla “fiamminga”.

Delle otto straordinarie sale La Camera d’Oro è la più famosa stanza all’interno del castello, occupa l’intero primo piano della torre omonima, quella di nord-est. Era la camera da letto di Pier Maria Rossi, che la fece affrescare dal pittore Benedetto Bembo (1420/30 – 1495) nel 1452. La stanza doveva avere anche funzioni di studiolo privato come sembrerebbe essere dimostrato dalla diversa decorazione presente nella parte dell’angolo a nord-est. Sulle pareti sono dipinte figure storiche e mitologiche con cui Pier Maria condivideva valori e virtù: Sansone ed Ercole, simboli della forza fisica, e Virgilio e Terenzio, simboli dell’importanza della cultura e dell’intelletto. La camera era così chiamata in virtù della decorazione a foglie d’oro che ricopriva le formelle in cotto che rivestono interamente la stanza.

La decorazione non è oggi più presente perché all’inizio del XX secolo l’allora proprietario, Pietro Cacciaguerra, asportò l’oro e disperse tutti gli arredi originali. Sulle formelle sono presenti cinque motivi diversi: arabeschi intrecciati su uno sfondo di tralci di mirto, pianta sacra a Venere, dea dell’amore, creano un disegno a scacchiera lungo le pareti. A questi vengono alternati gli stemmi di Pier Maria (il leone rampante) e di Bianca (un castello sull’acqua tra due bordoni da pellegrino), una formella con due cuori sovrapposti sormontati dal motto in latino “digne et in aeternum” e un’altra dov’è rappresentata una M in stile gotico (lettera che per la grafica può ricordare le lettere M e B sovrapposte) con un nastro con la scritta “nunc et semper”, a celebrazione dell’amore di Bianca e Pier Maria. La decorazione della volta è considerata una delle più eleganti e complete rappresentazioni quattrocentesche dell’amor cortese ed è piuttosto insolita, poiché nelle stanze da letto dell’epoca si trovano quasi esclusivamente decorazioni di tipo religioso.

Nelle quattro vele della volta a crociera è raffigurata Bianca, identificabile per la veste, il bastone, la conchiglia e le chiavi da pellegrina, per creare un gioco allusivo con il suo cognome, che attraversa uno a uno tutti i luoghi in cui sorgono castelli del feudo rossiano in cerca dell’amato. Ognuna delle rocche e dei borghi è identificata con il nome, e ricreata con particolari realistici sia per quanto riguarda le strutture sia per l’ambientazione geografica. Nelle lunette laterali viene celebrato l’incontro dei due amanti attraverso quattro scene: nella lunetta est i due si ritrovano colpiti dai dardi di un Cupido bendato, simbolo dell’amore cieco; nella lunetta sud, secondo un rituale cavalleresco, Pier Maria dona la sua spada a Bianca, in segno di assoluta sottomissione; nella lunetta ovest Bianca fa dono all’amato di una corona d’alloro, simbolo di fedeltà e di elevazione morale. Nella lunetta nord, l’ultima del ciclo, vengono rappresentati Bianca e Pier Maria affiancati dai rispettivi castelli di Roccabianca e San Secondo, con al centro il Castello di Torrechiara, il loro nido d’amore. Dalla stanza si accede ad una loggia panoramica, realizzata fra il XVI e il XVII secolo, aperta sulla valle sottostante. Alla morte di Pier Maria il castello venne conquistato nel 1483 da Lodovico il Moro.

La leggenda narra che nel castello di Torrechiara, durante le notti di plenilunio, quando la nebbia avvolge il maniero, appaia il fantasma di una bellissima duchessa, murata viva dal marito, che vaga nella torri offrendo baci appassionati agli uomini che la incontrano.

È senz’altro il castello più spettacolare, internamente ben conservato e ricco di atmosfere della provincia di Parma. Per questo motivo è stato usato come set cinematografico di film come Ladyhawke di Richard Donner.

Esco dal castello con la sensazione di aver fatto un viaggio nel Tempo, là dove la passione di un amore travolgente si è fatta ispiratrice di una delle più belle storie d’arte e di architettura del ‘400, capace di attraversare i secoli a venire. Il ritorno diventa così motivo di piacevole riflessione con me stesso.

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