GRANDE COMORE – Isola della luna

E’ aprile e mi trovo sul lungomare di Majunga, città portuale sulla costa occidentale del Madagascar, in cerca di una nave che mi conduca alle isole Comore. Mi accompagna Juliana, l’inserviente della locale Camera di Commercio che, per un piccolo compenso,  propone di aiutarmi a trovare la compagnia di navigazione giusta poiché qui “tutto è vago e incerto”. Giriamo per ore tra il dedalo di stradine di questa sonnolenta ed assolata città, in un carosello di anonimi uffici posti in angusti scantinati, fino a trovare il mio atteso passaggio per l’indomani sulla nave cargo della Mohoro Shipping, al costo di 100 euro (l’aereo ne costa 300).

Nelle 36 ore di navigazione verso l’estremità settentrionale del Canale di Mozambico, tra Africa e Madagascar, realizzo che da tempo sono incuriosito dallo Stato insulare delle Comore, quattro punte vulcaniche affioranti nello sperduto oceano indiano, sulle quali esistono solo rare notizie e nessuno ne parla. Il loro nome è stato sempre associato prevalentemente ai suoi frequenti colpi di stato organizzati da fantomatici mercenari ed ex legionari, senza capirne mai le ragioni, e ciò stimolava ancor più il mio desiderio di venirci. La mia narrazione sarà quindi quella di un visitatore ignaro di tutto, che si limita ad osservare e a fare domande agli abitanti per cercare di carpire la storia, l’atmosfera e l’anima comoriana, iniziando dalle piccole cose del quotidiano.

Sbarco a Moroni, la capitale dell’ Unione delle Comore, repubblica federale abitata da 750 mila anime e composta da tre isole: Grande Comore, Moheli e Anjouan, mentre la vicina Mayotte è reclamata dalle Comore ma ha rifiutato l’indipendenza dalla Francia.

La storia, in sintesi, ci dice che tutte le isole rimasero disabitate fino al Cinquecento. La sua posizione geografica ha fatto di questo arcipelago un crocevia di popoli: prima gli indonesiani, poi gli arabi, quindi gli africani e infine gli europei. A partire dal IX secolo arrivarono gli arabi, che vi fondarono dei sultanati e, dal 1500, gli europei: prima portoghesi e poi a seguire francesi, olandesi e inglesi. In quest’epoca furono una base per la tratta degli schiavi, condotta sia dagli arabi che dagli europei. Furono anche la base della pirateria, che intercettava le navi dirette al Capo di Buona Speranza e alle Indie Orientali. Ciò nonostante, i sultanati riuscirono sempre a  le mantenersi indipendenti, pur facendo delle concessioni agli europei.

Solo nel 1912 la Francia completò la conquista dei sultanati costituendo un’economia fondata sulle piantagioni, per la coltivazioni di prodotti da esportazione, che tuttora sfrutta gran parte del territorio come la vaniglia, la cannella, i chiodi di garofano e l’ylang-ylang, da cui si estrae un’essenza usata nell’industria dei profumi. Le Comore tornarono indipendenti nel 1975 costrette, dall’esito di due referendum, alla rinuncia di Mayotte. Inizia così il periodo dei complotti secessionisti e delle insurrezioni popolari con puntualità stagionale, tanto da guadagnarsi il nomignolo di “Coup-coup Land”. Nel 1997 pure le isole di Anjoun e Moheli dichiararono la loro indipendenza dalle Comore. Il tentativo del governo di ristabilire il controllo sulle isole ribelli con la forza fallì e, dopo la riconciliazione, nel 2005

venne approvata la Loi des compétences, una legge che definisce il tipo di autonomia e le responsabilità di ciascun organismo di governo. Il giorno 25 marzo 2008 l’esercito, con il sostegno di truppe della Unione Africana, ha assunto il totale controllo di Anjouan, mettendo fine alla secessione dell’isola. Oggi, ciascuna delle tre isole costituisce una unità amministrativa indipendente, con un proprio presidente mentre le strutture amministrative centrali hanno scarsi poteri. La politica comoriana è caratterizzata da un ampio numero di fazioni e partiti politici, basati sulle varie comunità tribali presenti nel Paese. Tuttavia, l’esercito gioca un ruolo importante nella politica interna.

Gli abitanti sono in grande maggioranza di cultura arabo-islamica, tranne una significativa minoranza sull’isola di Mayotte (i Mahorais) costituita da cattolici fortemente influenzati dalla cultura francese.

Il primo impatto è sorprendente, come sbarcare su un altro pianeta: Grande Comore, per i locali Ngazidja, è molto diversa dal Madagascar, anzitutto per la scenografia arabo orientale da fiaba, mista ad un’architettura che rivela le origini swahili della popolazione. Gli uomini indossano lunghe tuniche bianche (kanzus), accompagnate da zucchetti ricamati (kofias), mentre le donne hanno il capo coperto da scialli. Fascino tipico di un  mondo in via di estinzione, dai tempi lunghi, del dolce far niente che infonde nell’anima una profonda serenità: il tempo è dilatato, nell’aria non c’è niente che indichi dei ritmi precisi, nulla di impellente da fare, nessuno chiama, aspetta o impone dei tempi, delle scadenze, dei doveri .. degli obblighi. E’ proprio ciò di cui avevo bisogno!

Posso rimanere due settimane. Cerco un alloggio nella strada delle compagnie aeree, con prezzi che variano da 20 a 30 euro per notte, ma sono tutti al completo. Non rimane che la camera della più spartana Pension Le Rapido di Madame Maman-Omar, con bagno del genere mandi (acqua nel bidone), finestre senza infissi ed arredamento iper-basic. Per farmi la barba, mi insapono sul water e mi rado in camera dove c’è lo specchio. Un ridicolo avanti e indietro che riesce a mettermi di buon umore. Non esiste un generatore e la corrente elettrica va e viene ad intervalli di ore, sostituita da candele quando ci sono. L’assillo maggiore viene però dall’attacco di minuscole ma fameliche zanzare. Ci sono anche formiche grosse come cavalli e sono guai se un insetto qualsiasi riesce ad entrare nella zanzariera. Non ho fatto alcuna profilassi antimalarica e la presenza di tante zanzare mi preoccupa. A riguardo, chiedo informazioni alla graziosa Djae, l’impiegata dell’Air Mad dagli occhi come perle, che mi risponde con una battuta per niente rassicurante: “Moustiques? .. Sont les principales criminales du pais!”.

Per i più esigenti, appena fuori città, sulla via per l’aeroporto, c’è il 4stelle Itsandra Beach Hotel (..direi un buon 3stelle; tsc@snpt.km), che rappresenta l’unica soluzione di standard internazionale esistente alle Comore, con una bella baia di sabbia bianca incorniciata da palme. Qui, al tramonto, va in scena il balletto delle volpi volanti, pipistrelli giganti che ruotano in cielo, forse è per questo spettacolo gratuito che i prezzi  della lavanderia e dei servizi extra, specie al ristorante e al bar sono eccessivi. Tutta’altra cosa è la vicina e pubblica Itsandra plage, che ospita il bar ristorante Le Sim-Sim, in stile yacht club, con veranda posizionata verso un tramonto vergato di rosso, rosa, viola, giallo e arancio.

In giro per le vie ad annotare dettagli, subito colpisce il carosello di colori e di merci che rendono la città una perenne sagra all’aperto, incentrata nella superba Babele del mercato coperto di “Volovolo”. Le donne indossano sari e scialli sgargianti dai disegni geometrici insoliti che si intrecciano l’un l’altro con i colori della folla e, nonostante questo sia un paese prevalentemente musulmano, nei portamenti esprimono indipendenza e cordialità, tanto da incuriosirmi e da spingermi a fermarmi per dialogare con loro senza riserbo. Usano un linguaggio esplicitamente civettuolo e ammiccante, come Neema, la giovane impiegata della libreria che propone garbatamente di sposarci. E’ forse un modo meno rigido della nuove generazioni di interpretare l’Islam, rispetto agli anziani ancora fortemente ancorati alle tradizioni. Anche i ragazzi e gli uomini mi appaiono decisamente aperti e amichevoli mentre giocano a M’raha lungo la via, spostando sassolini da un buco all’altro con gesti decisi ma armonici, allo stesso tempo altri si accalcano attorno a vecchi televisori dai colori sbiaditi che proiettano film di Bruce Lee. Mi fermo, osservo, chiedo, fotografo: nessuno si lamenta o mi ostacola, anzi, ne sembra gratificato. Sempre attenti a non disturbare, spesso salutano con un cordiale bon jour monsieur, ca va?

Sento che viaggiare solo mi piace ancora molto. Già essere in due è un altro genere di viaggio, rassicurante nei luoghi a rischio, ma percepito dai nativi, poco abituati alla presenza di stranieri, come una complicità contro qualcuno o qualcosa, tale da incutere diffidenza. Il viaggiatore solo li rassicura, basta mostrarsi bendisposti e tutti ti invitano a bere e a mangiare nelle loro case, senza paranoie. Se sei solo vieni accolto e protetto.

Le donne, dai movimenti garbati e dagli occhi che parlano, vendono baguette, ortaggi, uova, noccioline, acqua, bibite, stoffe, abiti, scarpe, tegami, profumi, sigarette sciolte, stecche di vaniglia, legni scolpiti, cappelli di rafia, biancheria per la casa, gioielli in argento, articoli in vimini, oggetti in plastica ed ogni cosa. Dovunque, grossi avocado cremosi e succhi freschi di avocado, ottimi, densi, verdi. Ogni giorno ne compro un bottiglione da due litri (0.60 euro) e lo tengo nel frigo della pensione  .. mai vissuto questo frutto in modo più intenso. Per dissetarsi, ci sono acqua sigillata, bibite, tè o succhi di frutta diluiti con acqua bollita, mentre per molti nativi è d’uso comune il bidone pieno d’acqua non potabile e lo stesso bicchiere in alluminio per tutti. Per mangiare, nessun problema: prediligo il Nassib, un ambiente ampio ed easy sulla via del mercato, con sala ristorante, il forno, una fornita pasticceria per le colazioni e tv France24 che permette di seguire le vicende del mondo in diretta. La cucina comoriana è semplice ma saporita, grazie alla presenza di spezie come il cardamomo, la vaniglia, la cannella e, soprattutto, la crema di cocco, che accompagna la maggior parte dei piatti. Il pesce al cocco infatti è il piatto nazionale. La legge islamica proibisce ufficialmente il consumo di alcol, ma si trovano comunque birra e bevande alcoliche nella maggior parte dei supermercati.

Al Nassib ti puoi sedere anche senza consumare, non ci sono occidentali e la mia presenza è gradita, mentre se entro nei locali frequentati da residenti francesi, come Le Select, nella piazza della posta, o Café de Flore sulla Corniche (la via che costeggia il mare, a tratti “incorniciata” da montagne di rifiuti), l’atmosfera è decisamente più formale: mi scrutano per valutare l’abbigliamento, i modi, il linguaggio. Dopo la percepibile diffidenza iniziale per “lo straniero”, tesa a tutelare il proprio status, tutti ci tengono a sottolineare la più assoluta mancanza di criminalità: “Si può girare dovunque, di giorno come di notte, senza alcun pericolo .. per certo è la nazione più sicura al mondo!”.

Sono locali che rappresentano punti d’incontro privilegiati anche dalla borghesia indigena, con tronfi clienti ben vestiti che devono dimostrare di parlare bene il francese e di essere spigliati come a Parigi.

Moronì (pronunciato alla francese, con l’accento sulla “i”), con i suoi 49.000 abitanti, è considerata la “metropoli” del Paese. La parte più affascinante è certamente il nucleo storico di Mtsangani-Badjanani, medina percorsa da stradine tortuose che formano un labirinto di stretti vicoli tipicamente arabi come quelli di Zanzibar, con le balaustre di legno intagliato e le porte delle case protette da punte in ottone che in passato impedivano agli elefanti di appoggiarsi e di sfondarle. Quartiere che si estende giù al porto fino ed oltre la Grande Moschea del Venerdì, diventata simbolo della nazione. Sull’arcuato lungomare, i bambini si tuffano in mare per giocare attorno alla carcassa di una nave affondata, mentre all’ombra di piante i ragazzi si affrontano a bigliardino, accanto a donne che sezionano tonni, merluzzi e polpi appena pescati da proporre ai passanti. In genere le più anziane non amano essere fotografate e si coprono il viso con lo scialle, un timore che rivela una riservatezza antica piacevolmente miscelata con la semplicità e la naturalezza di un mondo ancora arcaico.

Dall’imbrunire, il canto monocorde e avvolgente dell’invito alla preghiera si protrae per ore, il volume è talmente alto da diventare una colonna sonora assillante che avvolge l’intera città e ipnotizza tutti, come nelle fiabe di Aladino. Poi riprende a notte fonda, con accenti forti come un monito greve, fino all’alba. Ciò nonostante, questa nenia cantilenante mi concilia il sonno e dormo profondamente, come non facevo da anni.

Qui si parla Shicomoro, una fusione di arabo e swahili, e la gente è un eterogeneo  coacervo di bantu, arabi ed indo-malgasci, di indole cordiale e rispettosa; in genere nessuno mi presta particolare attenzione tanto da farmi spesso sentire come un fantasma. E’ una sensazione per me nuova, decisamente piacevole! Quando la situazione richiede un approccio, questo è sempre garbato. L’espressione: “Allah mi è testimone”, oppure “Dio ci osserva e ci giudica” è molto ricorrente. Il fatto di sentirsi sorvegliati speciali da Dio, li induce ad essere onesti il più possibile: “Posso mentire a un uomo, non a Dio”. Anche il semplice trasporto in taxi conferma la dignità morale di questo popolo: per il circuito urbano si pagano 0.50 euro e per l’extraurbano il doppio, prezzo fisso per tutti, senza discussioni o contrattazioni varie, tipiche invece di molti paesi africani.

Passo le giornate a perlustrare ogni angolo senza incontrare alcun turista. Sono l’unico bianco a zonzo. Ecco perché sulle Comore non esistono che scarne relazioni di viaggio, queste sono isole vergini, con strutture inesistenti che dimostrano di non essere state ancora toccate dal turismo, d’élite e di massa. Chiedo spiegazioni ad Aboubacar Affane, direttore del Tourist Services Comores che, tra le righe, mi fa capire che avrebbero invece molto interesse per il turismo ma non hanno materiale informativo, mappe e neppure un sito web decente. Penso che sia maglio così.

Moltissime case hanno il piano terra rifinito e abitato, mentre il piano superiore è lasciato allo stato grezzo, ne chiedo spiegazione a Zakaria Mkatibou, curatore del Museo Nazionale che racchiude il panorama della storia comoriana, senza immaginare che tale osservazione avesse un significato tanto profondo nella cultura locale: “Ciò è dovuto alla tradizione dell’Anda, importantissima per tutti a Grande Comore, legata al gran mariage della primogenita con un gentleman”. Per la prima figlia si combina una festa di matrimonio che dura nove giorni, in abito nero e ricami in oro. Il padre e i parenti della sposa si uniscono per costruire la casa: “E’ un onore per loro costruirla”. I piani superiori allo stato grezzo stanno quindi a mostrare che in quella casa c’è una primogenita da maritare e quella sarà la futura dimora degli sposi che verrà terminata in un baleno una volta combinato il matrimonio. Specifica con puntiglio: “Se non fai questo non sei considerato dalla comunità, vali poco. Non diventi Alto Nobile e non hai diritto ad entrare nella commissione di coloro che prendono le decisioni. E’ l’unico modo per elevarti di rango, godere di uno status sociale di rilievo”. Al marito il compito di sostenere le spese della sfarzosa festa, chiamata toirab, di arredare la casa e di fare doni in denaro ed oggetti in oro o qualcosa che indichi la sua dote, concordata dalle famiglie. Gli uomini, in genere quarantenni al secondo matrimonio, spesso dedicano la loro vita a risparmiare denaro in vista di questo evento. In molti casi lo sposo passa il resto della sua vita ad estinguere i debiti di matrimonio. Se la prescelta rifiuta, ciò equivale ad un grave disonore per tutti e perde la casa.

Con Zakaria si parla, si scherza e diventiamo presto amici. Parlando di religione, tiene a precisare: “Il saluto Salam vuol dire pace”. Si altera quando menziono gli Sciiti e ribatte pronto: “Dove ci sono i Sunniti nessun problema, dove gli Sciiti solo guerre. Non dicono mai la verità, sono dei bugiardi, dei piantagrane. Anche il colpo di stato nello Yemen è stato pilotato dall’Iran che vuole ristabilire il potere dell’antica Persia. Gli iraniani si sentono molto superiori agli arabi”. Le sue parole mi trasmettono, in modo inequivocabile, il profondo odio che a livello generale divide queste due filosofie islamiche.

Faccio la prova del nove e chiedo se per lui essere Cristiani è la via sbagliata.

Dice: “Se un islamico si fa Cristiano per me sbaglia”. Resta confuso, quasi frastornato, quando gli dico che io prego per tutti gli abitanti della Terra, di qualsiasi religione poiché è l’uomo che mi interessa, non il suo credo.

Altro incontro degno di nota è quello con l’affascinante Saminya Bounou, capo redattrice di Al-watwan (La nazione, in arabo), il quotidiano in alfabeto latino più letto nel paese. Saminya ci tiene a dirmi che la letteratura comoriana deriva da quella orale sotto forma di hali (fiabe tradizionali) e nei secoli passati da racconti scritti in arabo da principi, sultani e nobili. Una buona parte della letteratura è scritta in shimasiwa (dialetto comoriano).

Nel minuscolo luogo di ristoro, posto nel piazzale sterrato di fronte al giornale, il polemico titolare Nourdin ama parlare di politica e con stizza afferma: “Odio i francesi con tutto il cuore!”. Di certo è un sentimento molto comune alle Comore, legittimato dalla “questione” di Mayotte. Nel suo localino d’angolo si sofferma molta gente, uomini e donne, tutti mi rivolgono il saluto e qualche commento. Curiosa la pubblica confessione della trentenne Mariam, che afferma di essersi sposata due volte e di essere ancora vergine: “Immagino e sogno rapporti sessuali, ma appena un uomo mi si avvicina lo respingo con forza … non so il perché, forse è una punizione di Allah”. Le signore presenti non la irridono, dimostrano di comprendere il motivo del suo rammarico. Madame Amina Kaambi, direttrice del turismo regionale, continuando afferma che in molti paesi vicini si pratica l’infibulazione ma non qui alle Comore. Aggiunge disinvolta che i ragazzi che praticano la circoncisione con il coltello tradizionale “Wembwe” sono sessualmente più forti di quelli che lo fanno chirurgicamente all’ospedale.

La stessa mattina incontro gli unici italiani residenti, sono Federico, David e lo chef Maurillo, giovani e capaci gestori della pizzeria Pulcinella, una elegante corte su Rue de la Corniche, affacciata al mare. Forno a legna e macchina per il caffè espresso, buonissimo. Confermano che i comoriani sono brava gente, mentre pare che i clienti peggiori siano i francesi: “Snob e taccagni”. Raccontano che i comoriani non vivono l’assillo del lavoro perché ogni famiglia ha almeno un emigrato in Francia che manda a casa un centinaio di euro al mese, sufficienti a vivere senza far niente. Chiedo loro anche il rapporto esistente fra la massiccia presenza delle zanzare e la salute della popolazione. Non sembrano preoccupati, precisano che la malattia che diffondono è il paludismo (non la malaria), più diffuso all’interno dell’isola: “Se una zanzara ti punge, in 3-5 giorni muori, a patto che l’organismo sia già debilitato”. E’ a rischio chi fa solo un pasto al giorno. Basta fare attenzione: “Pungono solo all’alba e al tramonto, dalle 4 alle 6 e dalle 18 alle 20”.

Passano i giorni, conosco persone, fisso appuntamenti e lentamente si ricrea quella fitta rete di impegni che mi ricordano troppo l’atmosfera di casa. Decido di cambiare rotta. Madame Amin, responsabile del night club Rose Noire, mi consiglia vivamente le spiagge del nord. In taxi brousse (pulmino collettivo) mi reco nell’unico alloggio extra urbano esistente a Grande Comore, che si trova nell’isolata Maloudja, 40 km a nord di Moroni. Una decina di bungalow costruiti all’ombra di palme da cocco ed affacciati sulla baia di sabbia bianchissima delimitata da roccia lavica nerissima. Acqua limpida smeraldina e fondali che scendono dolcemente fino al muro sommerso del reef, frequentato da amichevoli mante. Superlativa scenografia da poster, che ricorda la Polinesia: vera magnificenza! Costruiti in epoca francese, assieme alla grande piattaforma coperta della caffetteria, gli chalet in legno sono datati,  ma tenuti con cura dalla responsabile Fatouma Mohammaud (tel. +269-3380706), che chiede 20 euro per notte. Per la colazione, invece, ne chiede 10 o 9 per ogni pasto, facoltativi. Scelgo di fare la spesa nel vicino mercato di Mitsamiouli, distante un paio di chilometri dove con 10 euro ti danno un “barrocciata” di alimenti. Anche Galawa, la baia gemella subito appresso, è un angolo paradisiaco di straordinaria bellezza, vigilata dalla struttura di un lussuoso complesso balneare abbandonato. Mi dicono che fino a qualche anno fa l’hotel lavorava, ma venne poi chiuso per una disputa tra soci con conseguente fallimento .. Galawa divenne celebre per l’immagine di un boeing sudafricano che, per una avaria, ammarò davanti ai turisti. Per tre giorni vivo in perfetta solitudine, ispirato da Robinson Crosue, poi l’assenza di acqua e di luce, la guerra a colpi di flit con le zanzare, i lemuri che rubano il cibo e l’arrivo dei vacanzieri del fine settimana mi inducono a spostarmi di nuovo.

Salgo sul primo brousse diretto ad est, supero l’inquietante buco del Lac Salè e seguo la costa orientale dell’isola fino alla linda spiaggia di Chomoni, con l’enorme baobab che dal promontorio sorveglia la baia, invasa dalle tradizionali piroghe a bilanciere dei pescatori, dette djahazi. Un torrenziale acquazzone mi blocca al ristorante per qualche ora. Il titolare ha un paio di camere da affittare, che sono però perennemente prenotate. Il monsone di nord-ovest porta piogge da novembre ad aprile, ma si tratta spesso di scrosci d’acqua notturni che rinfrescano l’aria. Frequenti ad ogni ora solo nei mesi di febbraio e marzo.

La strada che costeggia il mare verso sud è in pessime condizioni, segue le pendici di roccia nera del maestoso Karthala (2361 m), il vulcano ancora attivo col cratere più ampio al mondo. Il signore che mi è accanto ha gambe lunghissime e fa un viaggio orribile, pressato tra corpi e lamiere senza mai un lamento. Gli chiedo come va? E lui stoicamente: “Pas de problem”. Tratto da non ripetere. Tuttavia in questo periplo dell’isola scopro siti ricchi di fascino legati agli antichi sultanati ed un paesaggio dalla natura lussureggiante, un vero giardino botanico tropicale, con grappoli di orchidee che pendono da rami di alberi altissimi ed il profumo di patchouli e gelsomino onnipresente. Il suolo vulcanico, molto fertile, favorisce la crescita di un’abbondante vegetazione. Oltre a cocchi e banani, anche manghi, avocado, papaya, guaiava, litchi, aranci, mandarini, limoni e svariati altri frutti esotici crescono spontanei, la manioca e le patate dolci si colgono dai cigli delle strade .. in contrasto con la miriade di carcasse d’auto abbandonate. Breve sosta. Un ragazzino stacca due manghi da una pianta e me ne fa dono. Sono buoni, maturi e dolci. Ne chiedo un terzo e lui mi gela: “No messieur .. ne hai già avuti due, gli altri potrebbero servire a qualcun’altro che passa”.

Incasso la lezione e scendo alla spiaggia di Chindini, piena di gente che attende di essere imbarcata su potenti lance bimotori dirette a Moheli, l’isola più piccola e selvaggia dell’arcipelago. Un vivace viavai di mezzi con passaggi da 15, 20 e 30 euro, dipende dal tipo di imbarcazione; il viaggio impiega un’ora e trenta circa, ma non accettano stranieri. Dalla capitale Moroni non ci sono trasporti via mare per Moheli, solo aliscafi per Aujoun, come il Ntrigui Express da 246 poltrone (3 ore, 35 euro).

E’ il giorno della partenza e mi accompagna Zakaria, votato ormai a spiegarmi ogni cosa: “L’aeroporto è stato donato dei cinesi, dedicato a Said Hibraim, il principe del XVIII secolo che ha confiscato le terre ai francesi per donarle alla comunità e liberando i comoriani dalla schiavismo di Parigi”. Entrambi sappiamo bene che i cinesi non regalano niente, per certo avranno il loro tornaconto, fosse anche fra cent’anni. Si tratta di un semplice caseggiato privo di luogo di ristoro, assenza ridicola per un aeroscalo internazionale. La sala d’attesa è composta da una lunga tribuna a gradini, coperta e posta all’esterno, davanti all’aeroporto.

Nel momento dei saluti incontriamo Maulidi Abdul, scultore del legno noto anche in Francia, il quale mi prega di scrivere che “Isole Comore” deriva dalla traduzione dell’espressione araba Giazir al-Qumr, che significa “isole della luna”. Con più di trecento coni, spuntoni rocciosi, crateri e colate di lava pietrificata, una morfologia del terreno simile a quella lunare, è davvero un nome appropriato.