Palawan, the beauty – L’isola più bella al mondo
Da tempo desideravo visitare Palawan, nell’arcipelago delle Filippine, e quando ho letto che la classifica annuale dei luoghi più belli del Pianeta, indetta da prestigiose riviste internazionali di viaggio, ha collocato quest’isola al primo posto, davanti a Maldive, Polinesia, Seychelles e ad altre decine di isole note per la loro bellezza, non ho saputo resistere, pronto e curioso di verificare di persona le peculiarità di Palawan, avendo la fortuna di avere già visitato quasi tutte le altre isole citate nella lista.
Da Manila, in un’ora di volo si atterra a Puerto Princesa, generalmente abbreviato in PP o semplicemente Puerto, ridente capoluogo di trecentomila abitanti sorto sulla costa orientale dell’isola. I colonizzatori spagnoli fondarono l’insediamento il 4 marzo 1872. Oggi è una città turistica con molte località balneari e ristoranti di pesce, dichiarata più volte città più pulita e più verde delle Filippine. Il primo impatto è l’immersione in strade invase da migliaia di variopinti tricicli motorizzati che funzionano come taxi, dalla sagoma che ricorda la corporatura del rospo, talmente brutti da diventare in breve folkloristici e piacevoli.
L’atmosfera generale è quella tipica delle città di provincia, abitata da gente cortese, rispettosa e sempre di buon umore. Durante il giorno la parte più interessante si trova attorno all’old market, mentre di sera l’attrazione principale è rappresentata dalle bancarelle ristoro allineate sul lungomare di Baywalk. Per i più esigenti, nei mega centri commerciali SM e Robinson si trovano i prodotti d’importazione e ogni comfort attuale simili a quelli occidentali.
I luoghi di svago più prossimi al capoluogo si trovano sulla Honda Bay, un’area costiera caratterizzata da acque cristalline, isole e spiagge di sabbia bianca. Ottimo per fare snorkeling e immersioni subacquee, oltre a godersi il sole e la bellezza del paesaggio. A Bancao-Bancao, il quartiere appena fuori città, salgo invece sul cosiddetto Floating Cottage, una casetta galleggiante che viene trainata da una canoa catamarano fino alle acque basse e verdi situate leggermente al largo.
L’escursione più gettonata che si organizza da Puerto Princesa rimane però il tour all’Underground River, un fiume sotterraneo che si estende per circa 8 km sotto una serie di caverne spettacolari, definito una delle sette nuove meraviglie naturali del mondo e dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Nel van che ci porta all’ingresso del parco, 70 km a nord di strada ampia e asfaltata, siamo in otto passeggeri di cinque paesi diversi a condividere le emozioni della giornata.
Dopo il giro in canoa tra le mangrovie ed il pranzo al self-service, compreso nel prezzo, al molo di Sabang Beach ci imbarchiamo sul grosso catamarano che attraversa un tratto di mare fino all’arenile, nei pressi del fiume sotterraneo. Un breve tratto a piedi e troviamo ad attenderci un’altra canoa ormeggiata nelle acque verdi del laghetto che introduce alla grotta, il “gate” d’ingresso al corso d’acqua sotterraneo, navigabile e avvolto da rocce calcaree. Il percorso dura meno di un’ora e si svolge completamente al buio, col pilota armato di una grossa torcia che da poppa illumina una grande quantità di stalattiti e stalagmiti pendenti dalla sommità della grotta.
Nel complesso, la completa assenza di illuminazione, a mio parere, rende il percorso monotono e noioso. Molto più coinvolgente e divertente è l’itinerario extra, ma di routine, alla scalata dell’Ugong Rock e la relativa discesa dalla vetta in zipline, ovvero in volo legati ad una fune. Nel complesso si tratta di una piacevolissima escursione durata dodici ore, dalle 8 alle 20, da vivere assolutamente.
Le località turistiche note e attrezzate si trovano tutte a nord di Puerto Princesa ma resto comunque attratto anche dal più remoto sud di Palawan. Nel mese che ho a disposizione, la mia idea, in origine, era quella di trascorrere una decina di giorni in cerca delle tribù indigene che abitano le foreste montuose nell’entroterra nel sud dell’isola, ma per le difficoltà che il territorio presenta e i tempi lunghi dei trasporti mi convinco a rinviare questo progetto ad altra occasione. In aggiunta, Robert, un americano di origini calabresi che abita qui da sei anni, mi avverte che alcune tribù non sono così civilizzate e amichevoli: “Io non mi avventurerei da solo a sud di Brooke’s Point”. E aggiunge: “Tieni presente che al sud sono musulmani e le tribù primitive sostanzialmente animiste, un altro modo di intendere la vita”.
Scarto così il sud, anche per avere più tempo a disposizione da dedicare alle bellezze del nord, in particolare nella zona di El Nido, distante 260 km da PP. Il “van condiviso” dell’agenzia Biz Tour passa a prelevarmi alle 7:30, sosta poi in un punto ristoro a metà percorso e in 5 ore di comodo viaggio scendo alla Bus Station di El Nido, di fronte al mercato. L’alloggio che ho prenotato, il Just Inn, è facilmente raggiungibile a piedi e comodo a tutto, posizionato a metà via tra l’abitato di El Nido e la spiaggia di Gorong Gorong, nota per i suoi tramonti. Il titolare, Samuel, è sempre presente per ogni genere di informazione ed è forse l’unico che, nei 17 euro dell’alloggio, include la colazione con un’ampia scelta di piatti, dettaglio non trascurabile se si considera che la cultura culinaria dei filippini è assai modesta ed iniziare la giornata senza la necessità di cercare per strada cibo e caffè è di gran sollievo.
Per prima cosa, mi dirigo nel centro di El Nido per cercare di ambientarmi in fretta. Trovo la spiaggia piena di gente intenta a seguire una esaltante competizione di velocità tra mini-catamarani da corsa. Si percepisce dovunque che questa città sta vivendo un vero e proprio boom economico in rapida espansione ed è il motivo per cui tutto qui è più costoso rispetto al resto dell’isola. Tuttavia, nonostante l’aumento del turismo negli ultimi anni, El Nido mantiene ancora un’atmosfera tranquilla e serena. L’abitato ha la dimensione del paese, dominato dalla grande chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi in Calle Real e da due stradine piuttosto ordinate: Serena Street e Calle Hama, che scorrono parallele alla costa impreziosita da parecchi ristoranti, caffè e bar anche lungo la spiaggia, dove godersi in totale relax la vista della scenografica baia, delimitata a sinistra, da maestose scogliere calcaree e dal porto.
Qui attraccano anche le navi per Coron e le altre isole più distanti. Tantissime le presenze di escursionisti per un turismo formato nella quasi totalità da giovani coppie occidentali ispirate dal fascino della natura. La sera, poi, El Nido offre una vivace vita notturna, con buona musica dal vivo in diversi locali dove socializzare con altri viaggiatori. Svariati anche i ristoranti italiani. La pizzeria Gorgonzola e la gelateria Gusto sono i miei preferiti. Dimensione salutista, nulla a che vedere con la concentrazione di persone meno giovani in cerca di compagnia come in tanti altri luoghi di vacanza simili, sparsi per il mondo.
El Nido è il punto di partenza ideale per esplorare la spettacolare Bacuit Bay. Questa baia è famosa per le sue isole, scogliere e lagune nascoste. I tour in barca sono molto popolari e offrono la possibilità di nuotare, fare snorkeling, kayak e ammirare la meravigliosa vita marina. I principali tour sono quattro: A, B, C e D. Dovunque, in ogni negozio, ogni albergo, ogni chiostro si possono prenotare le escursioni alle isole, il prezzo è identico per tutti (euro 27 circa) e io acquisto da Samuel il tour A alle isole Miniloc e Shimizu, il più gettonato.
Alle 8 del mattino seguente un incaricato dell’agenzia prescelta viene a prelevarmi in tricycle per condurmi sulla spiaggia di El Nido, già affollata da centinaia di persone che attendono di salire sui rispettivi bangka, grossi catamarani cabinati. Nel nostro siamo in 25 passeggeri, 8 occidentali e 17 asiatici, più tre uomini d’equipaggio e la brava guida di nome Roland, il quale tiene a dirmi che “i filippini presenti sono comunque tutti benestanti” poiché i pacchetti sono cari per la gente comune. La prima tappa avviene alla spiaggia dei Sette Comandanti, ornata da palme, sabbia bianca e acque cristalline, tutto come nei poster dei tropical-movie.
Poi a seguire, “tanta roba”: baie, lagune, nuotate, immersioni, canoa, formazioni calcaree e il verde intenso dei faraglioni che si perdono nell’azzurro del mare, con il magnifico pranzo a base di pesce servito a buffet sulla spiaggia. Visioni mozzafiato, prezzi contenuti e l’eccellente organizzazione sono la chiave del successo del luogo. Facciamo ritorno al porticciolo di El Nido alle 16, dove una lunga fila di giovani viaggiatori occidentali è in attesa di salire sulla nave per Coron, altra perla di isola che sta diventando un “must” grazie alla sua superba bellezza. Un’altra escursione notevole, non economica ma tuttavia molto seguita, è quella di tre giorni e due notti organizzata dalle agenzie Atienda e Montenegro, a zonzo per le isole di Linapacan, Cuyo e Coron al prezzo di 265 euro a persona, tutto compreso.
Interessante la massiccia presenza di turisti spagnoli e sudamericani, dovuta al retaggio storico della colonizzazione spagnola, iniziata nel 1565 e terminata nel 1898 quando le Filippine vennero occupate dagli Stati Uniti. È testimoniato anche dai nomi di molte città e dai cognomi ispanici delle famiglie filippine. La stessa denominazione “Filippine” fu imposta all’arcipelago in onore dell’allora Principe Filippo di Spagna. Con una punta di vanto, Samuel tiene a sottolineare: “L’episodio più famoso di quel periodo di esplorazioni e conquiste fu l’uccisione del navigatore portoghese Ferdinando Magellano nel 1521 ad opera degli indigeni guidati dal re Lapu-Lapu, divenuto eroe nazionale”. Gli americani, dal canto loro, durante l’amministrazione USA terminata nel 1946, e continuata poi in diverso modo, hanno fatto sì che oggi in tanti parlino un ottimo inglese.
La tranquilla Corong-Corong Beach dista circa un chilometro da El Nido ed ha il suo fulcro nella stradina del cosiddetto Pops District, con bar, ristoranti e pizzerie che si animano di vita nell’ora di cena. La spiaggia, costellata da alberghi perlopiù mimetizzati tra il verde, non è la più bella e neppure la più balneabile a causa dell’acqua molto bassa ma è il punto di raduno quotidiano obbligato per tutti i turisti che vogliono assistere alla spettacolare palla di fuoco del sole che attorno alle 18 si inabissa dietro le isole all’orizzonte.
Chiedendo qua e là, tutti quanti concordano che le spiagge più belle sono Maremegmeg Beach, sulla baia di Bacuit, 5 km a sud, e Nacpan Beach, in una grande baia appartata 22 km a nord. Decido di seguire la litoranea a piedi fino a Maremegmeg per osservare con attenzione questo tratto di costa che ospita hotel lussuosi ma, secondo il mio parere, sono troppo isolati e scomodi a tutto. Giunto in spiaggia vedo il cartello che indica la via da seguire per la piattaforma dello zipline, con la fune lunga 750 metri che collega la costa all’isolotto di fronte alla punta e subito salgo sulla vetta della collina desideroso di volare come un uccello sopra la baia dalle acque turchesi. Peccato che il volo di 60 secondi sia troppo breve, lo avrei gradito dieci volte tanto.
Maremegmeg è una bella spiaggia di sabbia bianca circondata da alte palme, poco affollata rispetto alle altre e, continuando con una breve camminata, oltre la punta diventa completamente deserta e offre una stupenda vista panoramica sulle isole circostanti. Un angolo di vero e piacevolissimo relax tra terra, cielo e mare, molto simile all’idea che ho del paradiso. Questo tratto di arena è il “top”, uno sballo, di gran lunga il punto più affascinante e tranquillo di tutto il circondario di El Nido, quello che più rappresenta l’immaginario collettivo dei tropici.
Adesso è giunto il momento di noleggiare uno scooter (8 euro), iper-curioso di vedere Nacpan Beach, decantata come una delle spiagge più belle delle Filippine. L’ultima parte del percorso è in terra battuta e impiego un’oretta di guida a raggiungere Nacpan. È subito chiaro che la chilometrica e ampia distesa di sabbia bianca e finissima, dotata di ombreggianti alberi da cocco e bagnata da acque limpide, è la testimonianza terrena di una bellezza naturale d’eccezione. Non ancora edificata e davvero splendida. Certamente, questa atmosfera rasserenante e priva di ogni rumore sgradevole la rende un luogo ideale per chi cerca pace e tranquillità.
Infatti, vedo sporadici gruppi di lettini e ombrelloni, tende per le massaggiatrici, un ristorante con musica dal vivo anche a pranzo e poche presenze che si perdono nella vastità della spiaggia. Il fondo è di sabbia, senza sassi e coralli. L’ingresso in acqua è comodo e scorrevole, il fondale basso è piuttosto lungo ma avvisano di non allontanarsi troppo a causa delle correnti. Da vedere anche il villaggio di pescatori all’estremità nord della baia.
In riva al mare, al centro della mezzaluna di sabbia che abbraccia la baia, c’è una capanna in legno e un uomo è affacciato sulla torretta che emerge dal tetto. Convinto che sia un Life Guard, mi accosto, lo chiamo e gli chiedo se posso entrare per scattare qualche foto. Dice yes, yes! Entro, io sono sotto e lui rimane nella stanzina al piano di sopra. Dopo circa quindici minuti si affaccia dalla finestra interna e scopro che non è una guardia ma un venditore ambulante, molto simpatico e non insistente. Rimaniamo mezz’ora a trattare all’ombra del capanno e quando capisco che si chiama Boh (?), un nome che sembra evocare l’incertezza del vivere, acquisto subito una collana pensando a mia figlia Clelia. I filippini sono un popolo molto amichevole e hanno uno spiccato senso dell’umorismo che non si trova in nessun altro paese dell’Asia.
In sintesi, El Nido è una realtà affascinante e scenografica che offre un mix di bellezza naturale, avventure marittime, relax e una vivace atmosfera notturna. È un luogo ideale per gli amanti della natura, gli esploratori e coloro che cercano una fuga tropicale indimenticabile. La sua fama ancora relativa non è proporzionale allo splendore di questo paradiso naturale.
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