MODENA – BALI – MODENA

Modena – Bali – Modena
di Giò Barbieri
Colombini Editore 2010

volume di pp. 716 – ill. colori e B/N
Euro 35,00
ISBN: 978-88-6509-067-1

AAA OK imp interno.inddCULTURA & TURISMO GIO’ BARBIERI: MODENA-BALI-MODENA Elis Colombini Editore di Donatello Urbani “Il viaggio di una settimana ti darà alcune cose, quello di un mese altre, quello di un anno ti cambia”. Giò Barbieri, giornalista e collaboratore in varie riviste per camperisti, così commenta nella presentazione del suo libro/guida/diario il  viaggio overland in cinquecento intrapreso nel 1969 con tre amici dalla sua città Modena fino a Bali e ritorno. Sei mesi documentati giorno per giorno tra piccole incombenze quotidiane e momenti al limite dell’avventura, immersi nel fascino di paesaggi da sogno, simili a quelli immaginati nella fantasia di un giovane poco più che ventenne che si materializzano e improvvisamente divengono realtà.

Raid di 6 mesi e 50.000 km in FIAT 500 compiuto nel 1969 da tre giovani modenesi. Foto e diario giorno per giorno del viaggio overland volume di pp. 716 – ill. colori e B/N  Euro 35,00 ISBN: 978-88-6509-067-1 Viaggiare affina l’istinto, ci si appropria della normalità altrui, si acquisiscono termini di paragone. Più il viaggio è lungo e più il ritmo frenetico della nostra realtà si dissolve, fino a svanire. Il viaggio di una settimana ti darà alcune cose, quello di un mese altre, quello di un anno ti cambia.  Questi diari descrivono non soltanto l’avventura di tre ventenni amanti dell’imprevisto, ma soprattutto una straordinaria esperienza umana, ricca di emozioni e di incontri, di paure e di conquiste, di scoperte e di traguardi.  Il trascorrere del tempo non ha per nulla intaccato la forza di queste pagine, capaci di trasmettere ancora il sapore della scoperta, dell’avventura sconsiderata, della sensazione di libertà sconfinata, senza pregiudizi né paure.

PREMESSA Questo viaggio nasce in un’epoca in cui per gran parte di noi ragazzi c’erano soltanto due modelli possibili: studente e poi impiegato, oppure operaio… tutti gli altri erano grosso modo classificati come dei disadattati. Il clima socio-culturale era permeato da rigidità ancora in odore di medioevo e l’indiscusso rifugio per quel genere d’ “emarginati” era il Bar Grande Italia (Bar Italia), un quartier generale che accoglieva ed ispirava diverse forme d’espressione creativa: il viaggio era una di queste. Impossibile scindere il nostro viaggio da quel luogo di ritrovo. Prima di parlare del Bar Italia, vorrei accennare al 1967-’68, periodo di grossi cambiamenti sociali, che coincise col mio servizio militare, poiché la Modena prima e dopo tale periodo per me e per molti dei miei coetanei fu due città differenti.  Prima di partire per la naja, i luoghi di ritrovo della nostra compagnia della Pomposa erano la sala biliardi al piano superiore del Bar dell’Orologio, in piazza Mazzini, il Guf di via Università, il Pedavena, in Via Castellaro angolo S.Carlo, ed altri locali sparsi per il centro… ma a tanti di noi piaceva soprattutto ballare. Eravamo accaniti ballerini. Con Adriano finimmo addirittura al Piper Club di Roma a ballare sul palco con Don Lurio, Lord Brummel (ma chi era?) e Patty Pravo, che all’epoca era la ragazza di Maurizio Vandelli.  I viaggi rimanevano però il nostro chiodo fisso. Ancora adolescenti, spedimmo una lettera demenziale a Frank Sinatra, allo scopo di farci invitare in America: la busta fece il giro degli States, e due mesi più tardi tornò al mittente piena di timbri, lo avevano cercato veramente!  Durante il mio servizio militare, Adriano, Giuliano Della Casa, Carlo Cremaschi, Claudio Parmiggiani ed altri artisti dell’avanguardia modenese parteciparono alla storica manifestazione di Fiumalbo “Parole sui muri”, voluta dall’allora sindaco Mario Molinari e da Adriano Spatola. Fu un libero sfogo di attività sperimentali e d’arte concettuale, che generò anche furibonde polemiche. Eppure, fu una esperienza memorabile che segnò un importante cambiamento ormai irreversibile.  Dal canto mio, giusto per passare il tempo, dalla caserma inviai una lettera d’auguri al giovane sultano del Brunei nel giorno della sua incoronazione… senza immaginare che un giorno, su quel paese, avrei addirittura scritto una guida.  A fine naja, nell’autunno del ’68, scoprii che gli amici di sempre si erano trasferiti in pianta stabile al Bar Italia. Vi trovai un entourage variegato, composto da tanti gruppetti e correnti di pensiero, ma nelle scelte di fondo mi sentirei di dire che era una grande famiglia, con ragazzi che si mettevano in discussione, in cerca di nuovi appigli per un’esistenza meno scontata, in linea coi turbamenti che caratterizzavano ormai tutto l’Occidente. Un punto di agregazione che mi calzava a pennello: ero desideroso di vedere il mondo ed Adriano mi parlò subito del progetto del viaggio.  Il benessere diffuso della società capitalistica era ancora agli albori, si vedevano le prime donne coi pantaloni, i primi passaporti, e alla nostra generazione, l’ultima ad aver visto la miseria e la prima senza una guerra, si presentava l’opportunità di esplorare nuovi spazi, anche esistenziali. Una dopo l’altra, le frontiere iniziavano ad aprirsi senza troppe complicazioni burocratiche ed in breve il passaporto diventò un bene prezioso per tutti coloro che desideravano ampliare i propri orizzonti viaggiando.  Fu di Adriano l’idea di andare a Bali con la sua auto, una Fiat 500 nera del 1960 – con ancora le portiere controvento. Fu lui, tra i candidati del bar, a scegliere noi quali compagni di viaggio. Così, nella primavera 1969, ansiosi di dare forma ai nostri desideri astratti, s’iniziò a concretizzare il progetto: la parte meccanica e l’intelaiatura esterna da “safari” furono realizzate nell’officina del padre di Giorgio Battilani dal team di amici denominato Obabel, da un celebre libro di poesie di Adriano.  Chi progettava, chi saldava, chi suonava o cantava, in un’orchestrazione diretta per l’occasione dal tecnico Marco Carretti.  Per orientarci, avevamo semplici mappe continentali, non molto dettagliate, da aggiornare in loco, con direzione Oriente.  Eravamo determinati, ma il percorso era lungo, impervio, pieno d’incognite, e in pochi scommettevano sul buon esito della spedizione. Le nostre famiglie ebbero reazioni diverse. Mio padre ebbe un attimo di sbandamento: “Se parti non sei più mio figlio”, una frase talmente altisonante che detta da lui, musicista sempre in giro per il mondo, metteva allegria. Tutto lì, poi ripartì subito lasciando a me il compito di rifletterci.  Adriano era figlio unico con genitori accondiscendenti, mentre Paolo, che studiava il russo, aveva inserito il viaggio in un improbabile progetto di studio per ammorbidire i suoi. In effetti, pensavamo inizialmente di passare per la costa nord del Mar Nero, ma la procedura per attraversare i paesi dell’Unione Sovietica si rivelò talmente complicata ed onerosa che rinunciammo.  Quale test del nostro affiatamento, a maggio andammo a Parigi in autostop, per trovarci con Giuliano Della Casa e Carlo Cremaschi alla manifestazione “Liberté de parole” che si teneva al Théatre du Vieux-Colombier, il mitico teatro dei surrealisti. Un evento provocatorio e rivoluzionario, una sorta di Woodstock dell’arte, che radunò migliaia di partecipanti provenienti da tutto il mondo.  Avevamo formazioni abbastanza differenti, Adriano veniva dal Fermi (Istituto Tecnico), Paolo dalle Magistrali ed io dal Venturi (Istituto d’Arte). All’inizio Adriano era l’addetto ai motori e Paolo alla cucina, ma ben presto i compiti si fusero e confusero. Da fotoamatore e grafomane incallito, fu naturale assumermi il compito di “fare” memoria di quel viaggio, che attendevo ricco di immagini e storie. Partii con un quaderno dalle pagine giallastre, una vecchia Zenit a caricamento verticale e qualche rullino. Il secondo quaderno, acquistato a Bandung (Indonesia), coincise proprio col viaggio di ritorno e le altre pellicole, all’epoca soltanto in bianco e nero, le acquistai lungo il percorso.  Alla vigilia della partenza andammo poi al cinema Scala per vedere “Lord Jim” con Peter O’Toole, tratto da un romanzo di Conrad ambientato nell’isola di Giava, in Indonesia, la nostra futura destinazione. Guardammo il film con un coinvolgimento speciale: quel paesaggio tropicale era lì ad attenderci.