PENANG, perla d’Oriente

Sulla costa nord-occidentale della penisola malese, nello stretto di Malacca, ad un centinaio di chilometri dal confine tailandese, sorge l’isola di Penang – Pulau Pinang (“isola noce di betel”) in malese – una delle mete preferite dei viaggiatori, attratti dai paesaggi esotici, dai villaggi di pescatori, dai templi e dalle spiagge, ma soprattutto dai risvolti etnici e coloniali intrisi di storia e di fascino. Prima base della colonizzazione britannica in Malesia, l’isola di 285kmq oggi supera il milione di abitanti, più della metà dei quali è di origine cinese. La sua dinamica capitale, Georgetown, è forse la più intatta ed attraente Chinatown esistente al mondo, collegata alla città peninsulare di Butterworth da un servizio permanente di ferry e dal Penang Bridge, il ponte più lungo dell’Asia di ben 13.5 chilometri.

Fino al XVIII secolo Pulau Pinang era pressoché disabitata e parte del sultanato del Kedah, un regno perennemente minacciato da principi siamesi, malesi, indonesiani e birmani. Quando nel 1771 l’abile capitano Francis Light vi approdò, per conto della East India Company, divenne subito confidente del sultano, che nel 1786 gli cedette l’isola in cambio di protezione militare. Il sultano fu beffato ed i patti non rispettati, tuttavia la posizione strategica dell’isola fu definita irrinunciabile per la salvaguardia dei commerci britannici tra la Cina e l’India. Fu così che Penang, ribattezzata da Light “Prince of Walles”, divenne il primo insediamento della Corona nella penisola malese. Il sultano provò a riconquistare l’isola senza riuscirvi e, a seguito della sconfitta, dovette cedere ai britannici anche la striscia di terraferma adiacente, nota col nome di Seberang Prai, tuttora parte integrante dello Stato di Penang. Ben presto crebbe Georgetown, dedicata a re Giorgio III d’Inghilterra – noto per avere perso le colonie d’America. Si narra che per incentivare marinai e indigeni a disboscare l’area dell’attuale capitale, Light fece sparare cannonate di monete d’argento nella giungla. Light, che parlava bene Thai e Malay, promise terreno ai volenterosi e trasformò subito Penang in un lido liberale ed esentasse, che alla fine del secolo contava già diecimila abitanti, perlopiù coloni cinesi, indiani e Bugis di Celebes in cerca di fortuna. Seguirono cingalesi, armeni, persiani, arabi ed ebrei, in una straordinaria fusione di razze, lingue e culture. L’ascesa della Penang coloniale proseguì rapida anche dopo la morte, per malaria il 21 ottobre 1794, del suo fondatore: nel 1805 divenne una dipendenza del Bengala e in breve fu elevata a Residenza Indiana, con una struttura amministrativa britannica pari a quella di Madras e Bombay. Con la creazione delle “Colonie dello Stretto” o Straits Settlements, dal 1826 Georgetown fu associata a Malacca e alla fiorente Singapore di Raffles, che in appena sei anni divenne la città più importante degli Straits Settlements scalzando Penang dal ruolo di protagonista. Dopo Malacca e Singapore, anche a Penang si estese la singolare e pregevole cultura Baba-Nonya, cinesi dello Stretto (baba) sposatisi con donne malesi (nonya), che divenne la società Peranakan (“nati qui”) più ricca e influente dell’intera penisola malese. Ai giorni nostri apprezzata per l’originale cucina e l’eleganza di ricami, porcellane e argenteria.
Alla metà del XIX secolo la colonia visse una buona ripresa economica grazie alla scoperta dello stagno nella terraferma, tuttavia, la principale entrata rimaneva il commercio dell’oppio, gestito da due società segrete cinesi rivali nel predominio di bische, prostituzione e traffici illegali. Un altro momento di prosperità arrivò col boom della gomma all’inizio del ‘900, che generò una raffinata élite cosmopolita, ma lo sviluppo edilizio moderno è giunto soltanto in epoca recente a tutto vantaggio dell’antica struttura a griglia di Georgetown, con magnifici edifici e palazzi sorti nel primo periodo coloniale tuttora integri. L’unico danno materiale fu perpetrato dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale, quando divelsero porte e balconi in ferro per fonderli ad uso bellico.

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