TIMOR-LESTE. La nazione più giovane del pianeta – Da Baucau a Maubare – 3P

I bus per la città di Baucau, 123 km ad est da Dili, partono dal quartiere di Becora, nella periferia orientale di Dili. Quando arrivo, una marea di giovani esagitati e vocianti assalta il taxi ancora in movimento, i primi aprono d’impeto i quattro sportelli, anche quello del driver e tentano con forza di prendermi lo zainetto in custodia ma resisto. Appena esco mi strattonano, mi tirano braccia e camicia per spingermi ognuno verso il proprio autobus. Una lotta che, prima ancora, ha origine fra gli aiutanti dei driver, con liti da cazzotti per aggiudicarsi il cliente. Lancio due urla, estraggo la macchina fotografica come fosse un revolver e sparo foto a raffica alle loro facce. Strano ma vero si quietano, fulminati dalla mia reazione. Con un guizzo salgo sul bus che ho scelto e per qualche secondo nessuno fiata. Poi ripartono alla carica ma ormai sono comodamente seduto che rido beffardo, a osservare l’assalto ad altri passeggeri in arrivo.

Sono salito sul bus alle 8 ma fino alle 9.30 non prende il via, è la normale prassi d’attesa per cercare di caricare più clienti possibile. Al termine del polveroso percorso, tra costa e collina, alle 13.30 entro a Baucau Nuova. Baucau è la seconda città del paese con circa 20 mila abitanti ed è composta da due centri: Vila Nova (Kota Baru in indonesiano), voluta dagli indonesiani, con edifici governativi e la distesa di tetti in metallo ondulato del grande mercato in cui si smercia di tutto, da cuccioli di animali, giochi e abbigliamento a mobili, verdure e pesce essiccato; a un paio di chilometri c’è Vila Antigua (o Kota Lama), il cui fascino è dato dal sorprendente Mercado Municipal, prima attrazione storica e turistica della città e da altri piacevoli edifici coloniali portoghesi.

Cerco un alloggio basic a Vila Nova, giusto per un paio di notti, ma quelli che vedo sono penosi in rapporto al prezzo (US$ 40): camere buie, lenzuola sporche, tende alle porte, senza infissi, senza lavandini e neppure specchi. Salgo sul primo microlet che scende, curva dopo curva, alla città vecchia e alloggio alla TatoToti guesthouse (US$ 35), pulita e decorosa in ottima posizione, di fianco al celebre e incantevole hotel in stile coloniale Pousada. Vila Antigua poggia su di una rigogliosa collina a 330 metri d’altitudine, in posizione privilegiata. Pochi passi e sono davanti al muro del perimetro che circonda il Mercado Municipal, ma è tutto chiuso. Chiedo a più persone e finalmente arriva quella con la chiave che mi apre la cancellata, lasciandomi libero di girare per la struttura senza controlli.

Lo storico edificio, dalla pianta arcuata a ferro di cavallo, ha due ali di portici che terminano con una torre su entrambi i lati. Inaugurato nel 1932 e progettato in Europa agli inizi del ‘900 per l’allestimento di fiere e mostre agricole, scendo la scala maestosa che dal portale centrale mi conduce al giardino interno, da dove apprezzo la visone d’insieme dell’intero complesso. In origine era tutto bianco, mentre ora è di colore giallo e blu, coi tetti rosa. Distrutto e ristrutturato più volte, sia durante la seconda guerra mondiale che quella del 1999, dal 2014 è diventato un centro culturale. È singolare vedere come un grande e piacevole edificio portoghese sia stato custodito dai timoresi. Accanto, c’è la parrocchia, sede vescovile di Sant’Antonio, diocesi di Baucau dipendente dalla Santa Sede di Roma. È un importante centro di aggregazione d’epoca coloniale, con un ampio pergolato nel cortile d’ingresso costruito in stile Fataluku, la tipica architettura della tradizione locale. Alle sue spalle, il muretto sul lato sinistro del complesso religioso si affaccia sul pendio dalla parte del mare, distante appena una manciata di chilometri, con la brezza che dona il clima più fresco della costa. Oggi è festa grande, la giornata del “Glorioso Santo Antònio” guidata dal vescovo Basìlio do Nascimento in persona. Resto rapito dalla funzione religiosa, molto sentita dai fedeli presenti e dalle centinaia di bambini, attenti e composti nelle uniformi bianche e verdi della comunità.

Dalla rotatoria di fronte alla guesthouse scendo in taxi i 5 km che mi portano a Pantai Wataboo, la bella spiaggia di Osolata ornata da palme da cocco. Di quello che era il porto di Baucau è rimasto solo l’edificio della dogana portoghese abbandonato, mentre per alloggiare merita la sosta il valido Baucau Beachhouse & Bungalow (US$ 15-20), davanti ad un scorcio di paradiso, nei pressi del pittoresco ammasso di roccia affiorante a pochi metri dalla riva. Da Osolata, continuando verso est, la strada porta a Lospalos e ai famigerati ultimi 7 km di Tutuala, jumping point per la superba Jaco Island. Preferisco tornare a Dili e visitare altre località, in primis l’isola di Atauro e forse, se ne ho il tempo, l’enclave di Oecussi. Alla bus station di Baucau Vila Nova, nell’attesa della partenza, trascorro il tempo a fotografare il carosello perpetuo di autobus Mitsubishi dipinti con fantasiosi immagini dai colori splendenti, che riflettono la cultura e il carattere della gente.

Tornato a Dili, vado al terminal di Tasi Tolu, sulla strada dell’aeroporto, e salgo al volo sul microlet per Liquica, cittadina costiera 33 km ad ovest di Dili. Credevo prendesse il via subito e invece, anche in questo caso, il driver gira e rigira alla ricerca di passeggeri e si parte solo un’ora dopo. Se uno ha fretta è certamente più saggio usare il taxi. Col microlet, seguiamo la litoranea verso ovest, ma giunti all’altezza delle vecchie prigioni di Aipelo anziché proseguire, il driver gira il mezzo verso i monti e sale per chilometri su per una ripida stradina piena di buche e sassi, per condurre alcuni passeggeri fino a casa. Torna sulla litoranea ma dopo poco ripete il servizio per altra gente. Nessuno si lamenta, nessuno fiata, anzi ridono divertiti ad ogni sobbalzo del mezzo, è normale. Qui regnano i tempi lunghi e non c’è da stupirsi se per fare pochi chilometri ci si può impiegare anche mezza giornata, tuttavia questa consegna a domicilio mi ha favorevolmente colpito per il rispetto e la qualità delle relazioni umane, ancora semplici ma piene di significato. Un occasione per vedere alberi enormi, giardini che custodiscono le tombe di famiglia e un esercito di bambini che va a scuola in uniforme.

Anche Liquica, come Dili ed altri luoghi, è stata distrutta dalle milizie filo indonesiane che nel 1999, in seguito alla campagna di intimidazione che ha preceduto il referendum per l’indipendenza, uccisero duecento persone nel massacro alla chiesa di Liquica, molti dei quali vecchi e bambini. Durante quel periodo la maggior parte degli edifici della città furono distrutti, quindi in tal senso c’è poco a vedere: un mercato all’inizio del paese, qualche edificio portoghese ed una spiaggia con arena scura. Fu anche capitale, dal 1520 al 1769, quando fu spostata a Dili.

La strada è asfaltata e panoramica, decido di continuare verso ovest per altri 16 km fino a Maubara, località con un ampia spiaggia di sabbia cinerina ma fine, famosa per il suo Forte olandese costruito attorno al 1756. Due cannoni sono puntati verso il mare dagli angoli del fortilizio e nel perimetro interno, all’ombra di grandi alberi, c’è la casetta del ristorante Tia Janer, dove si mangia molto bene per 4 dollari. Molti pensano che il forte sia portoghese ma non lo è. Anche se i portoghesi occuparono per primi l’isola nel 1520, nel 1640 la compagnia olandese delle indie orientali si stabilì sulle coste occidentali sospingendo i portoghesi verso la parte orientale di Timor. Per riavere possesso di questa regione e dell’isola di Atauro, il Portogallo cedette all’Olanda l’isola di Flores che prima le apparteneva. Il confine tra est e ovest Timor fu stabilito con un trattato tra i due paesi firmato nel 1859 e modificato nel 1893.

Di fronte al forte, occupano il lungomare un paio di ordinati negozi con souvenir ed un lindo bar con poltrone a bordo spiaggia. Poca gente, atmosfera tranquilla, di massima distensione, a eccezione di un gruppo di giovani australiani chiassosi che si buttano in mare prima di tornare al lavoro. Per il ritorno a Dili non ci sono molti mezzi pubblici. Passa un microlet e mi invitano a salire davanti col driver, ma prima di prendere la via della capitale i due mi portano con loro nell’entroterra, guadiamo un fiume e giriamo per i monti a caricare e scaricare sacchi di merci per tornare un ora dopo al punto di partenza. C’è poco traffico e mica vogliono perdere i 5 dollari del biglietto. Giunti a Dili, al momento di pagare, un anziano signore si affaccia al finestrino e dice al driver, con tono dimesso e dolente: “Mi spiace ma non ho soldi, fatteli dare da lui”, indicando me che gli stavo accanto … Come dire “i bianchi hanno soldi non io”. Il driver fa una smorfia e rassegnato riparte.

In assenza di cinema, alla guesthouse un paio di volte la settimana Carlos stende un lenzuolo sulla parete in veranda, chiama un po’ di gente di tutte le nazionalità e proietta un film. Spesso con temi che trattano le drammatiche vicende della guerra con l’Indonesia, come A Guerra da Beatriz del 2013, primo film prodotto in Timor-Leste, co-diretto dai registi Bety Reis e l’italiano Luigi Acquisto. A fine proiezione, si discute anche della disputa sui confini delle acque territoriali tra Timor-Leste e l’Australia, per la supremazia del vasto giacimento di idrocarburi, dove si stima vi siano risorse per 100 miliardi di dollari. Parlando dei luoghi che vale la pena vedere, il russo Pavel afferma che Atauro è come le Maldive. Io sono stato alle Maldive e subito “addrizzo le orecchie”. Guardo le foto ma non vedo né sabbie immacolate né palme da cocco, elementi che evocano le Maldive. È risaputo che Atauro è la meta d’obbligo per chi viene a Dili, ma in genere si citano soprattutto le meraviglie dei suoi fondali. Non resisto e decido di andare a vedere. Tutti concordano che 3-4 giorni sono sufficienti ad entrare nel merito. Fernando, il socio di Carlos, telefona alla sua amica Madalena e prenota per me un bungalow al Manukoko Rek a Vila Maumeta di Atauro.

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