São Miguel – Arcipelago delle Azzorre

Sono a Lisbona in camper. È la terza volta che giungo nella capitale portoghese e ogni volta vengo preso dal desiderio di fare un ‘salto’ in quelle isole tutte sole, in mezzo all’Oceano, estremo confine occidentale d’Europa. Questa volta, grazie anche ai voli low-cost, non voglio perdere l’opportunità di raggiungere l’arcipelago delle Azzorre con un volo di appena due ore e con modica spesa. Così, dopo aver sistemato il camper nel solito parcheggio custodito accanto all’attracco dei ferry per Cacilhas, apro il computer e prenoto volo e alloggio per una settimana a Ponta Delgada, nell’isola di São Miguel, capoluogo e porta d’ingresso alle Azzorre. Nessun programma particolare, mi muoverò liberamente seguendo l’ispirazione del momento.

Le nove isole abitate che spuntano nel cuore dell’Atlantico settentrionale, come una costellazione marina, non sono mai state raggiunte dal turismo di massa. Dalle due isole di Santa Maria e São Miguel a Est a quelle di Corvo e Flores a Ovest, l’arcipelago si estende per quasi 600 chilometri; al centro si trova il gruppo formato da Faial, Pico, São Jorge, Graciosa e Terceira. Tutte isole di origine vulcanica ma con caratteristiche specifiche differenti, determinate dalle diverse ere in cui sono emerse dalla Dorsale Medio Atlantica, una lunga catena di montagne altissime sommerse. È ‘risaputo’ che la forza della natura azzorriana e il vulcanismo ancora pacatamente attivo producono nei visitatori uno straordinario effetto magnetico.

La sua storia moderna è legata alla colonizzazione portoghese che ebbe inizio nel 1427, quando le Azzorre divennero la tappa intermedia per la conquista del Nuovo Mondo. Lo stesso Cristoforo Colombo nel 1493, di ritorno dal suo primo viaggio in America, approdò nell’isola di Santa Maria. Ancora oggi i velisti di ritorno dai Caraibi seguono gli alisei, venti regolari e relativamente costanti, che conducono dritti al porto di Horta, nell’isola di Faial, con ritrovo al celebre Peter’s Café, luogo di ristoro e ‘sosta obbligata’ di tutti i navigatori. A onor del vero, dagli avventurieri ai cacciatori di balene negli ultimi 500 anni tutti i naviganti hanno attraccato in questi picchi verdi lontani da tutto, equidistanti tra Europa e America.

Da Lisbona è un comodo volo sopra soffici nuvole bianco latte che si alternano alla distesa d’acqua di un blu intenso poi, quasi dal nulla, appare la costa verdissima di São Miguel, l’isola più grande delle Azzorre: lunga 81 km e larga da 8 a 16, costituita da due massicci montuosi separati da una pianura. L’aeroporto di Ponta Delgada, dedicato a Papa Giovanni Paolo II, dista appena tre chilometri dal centro e il volo a bassa quota per l’atterraggio mi regala una bella e nitida veduta dall’alto dell’intera cittadina, che conta 65mila abitanti su una popolazione totale di 140mila anime. Eccomi finalmente nella terra dei ‘migliori balenieri del mondo’, come scrisse Herman Melville nel romanzo Moby Dick.

L’alloggio che ho prenotato è di Maria Arruda Moreira, in una casa d’epoca situata nel centro, in Rua Dom João de Sousa 33, confortevole e comoda, con un bel giardino in cui crescono fiori esotici e frutti tropicali biologici. La loquace e cordialissima Maria vanta la discendenza col celebre naturalista Francisco de Arruda Furtado (1854-1887), discepolo di Charles Darwin, relazione certificata dal rapporto epistolare tra i due raccolto nel Museo di Storia Naturale di Lisbona.

Passeggiando nei curati e pittoreschi vicoli, nelle piazze, piazzette e parchetti in fiore del centro, la prima cosa che balza agli occhi sono le case, le ville e i palazzi nobiliari dai colori pastello, d’influenza chiaramente brasiliana, spesso ornati da palme da cocco, i balconi ricamati in ghisa e quel nero della pietra lavica, usato per costruire edifici, strade, marciapiedi, ricamato da cubetti di mattoni bianchi che, dovunque in città, formano armoniosi disegni sempre diversi, in puro stile portoghese.

La natura rigogliosa e l’architettura coloniale conferiscono a questa città un carattere europeo e tropicale al tempo stesso. Impatto piacevole anche con la gente, di indole amabile, sempre disposta ad ascoltare e a scambiare due chiacchiere con grande cordialità. Il cuore della città è rappresentato dalla Portas de Citade, un simbolico city gate a tre archi che fa da quinta alla piazza affacciata sul lungomare di Avenida Infante Dom Henrique. Dietro l’angolo, sotto il porticato risiede l’efficiente e ben fornito Posto de Turismo aperto sette giorni su sette, dove faccio scorta di mappe e mappette utilissime. A sinistra della Porta si trova il simmetrico piazzale della Torre Sineira, mentre alle spalle si può ammirare l’austera facciata della cattedrale seicentesca, Igreja Matriz de São Sebastião, vera anima di Ponta Delgada, in stile manuelino, tardo gotico portoghese. Tutt’attorno botteghe d’altri tempi, negozi moderni e accoglienti caffetterie e trattorie.

Passo dopo passo, arrivo al mercato coperto, chiamato Graça dove si possono trovare sui banchi appositi i famosi ananas raccolti nella secolare Plantação Arruda, vicina a Ponta Dalgada. Accanto, le varianti del tè coltivato nei dintorni di Ribeira Grande, nelle uniche piantagioni esistenti in Europa, grazie al clima subtropicale.

Più ricco e interessante si presenta il settore attiguo riservato al pesce, con grossi tonni, polipi e murene di vari colori, o anche il negozio di formaggi locali, rinomati per varietà e bontà essendo, come le carni, di ottima qualità dovuta al terreno da pascolo fertile e l’assenza di inquinamento.

Prima di noleggiare un’auto e visitare l’isola mi interessa comprendere meglio l’atmosfera che si respira in questa città, i ritmi e l’energia. Questo avviene soprattutto conversando con la gente che la abita, molta della quale parla correttamente la lingua inglese. Non mi era mai capitato di sentire tanti latini parlare così perfettamente l’inglese, ciò è dovuto, mi dicono, alla televisione canadese che manda in onda i programmi in versione originale con sottotitoli, qui molto seguita fin da piccoli.

Edoardo, il cui volto evoca i tratti somatici degli Inca, parla italiano e fa la guida turistica in Tuk Tuk elettrico; il suo boss ne ha importati quattro dalla Tailandia e ora li usa per accompagnare i turisti. Mi avverte: “Scordati di visitare l’isola con gli autobus locali, troppo lenti e complicati negli orari, a parte l’auto, la soluzione migliore e più conveniente la offre il Yellow Bus”.

Dopo un veloce tour cittadino e lungo la baia, dove alcuni temerari fanno il bagno nonostante il clima in continua mutazione, Edoardo mi conduce al Giardino Botanico José do Canto che si trova sulla collina, un chilometro a nord del centro. Col ticket d’ingresso, euro 4, viene consegnato un buono per bere un caffè o un liquore al bar e la mappetta che consente di visitare per intero questo delizioso parco creato nell’800, ovvero una sorprendente foresta tropicale nel mezzo dell’Atlantico senza umidità, ricca di varietà d’alberi secolari enormi, molti originari dell’Australasia, e la superba jungla di grossi bambù altissimi. Per certo non sembra proprio di essere all’interno di una città. Tuttavia, qui incontro una coppia di croceristi inglesi che, appena reduci dalla visita al Giardino Botanico di Madeira, raggiungibile in funivia, considerano questo di livello inferiore.

Altro consiglio che decido di seguire è il tour del Yellow Bus, che ha il chiosco-biglietteria sul lungomare accanto all’ingresso di Fort São Bràs, la fortezza affacciata sul porto trasformata nel Museo Militare delle Azzorre che raccoglie vaste collezioni di armi, mezzi, uniformi e che forse andrò a visitare in un giorno di temporale e qui, purtroppo, piove spesso. A intervalli di un ora i mezzi del Yellow Bus percorrono due tour fissi con diverse tappe intermedie: dove si sceglie di fermarsi, si scende e si continua poi il tour col bus successivo, che passerà sessanta minuti dopo. Il tour 1 fa capolinea al Lago do Sete Cidades, con un ampio giro a ovest dell’isola di 40km, mentre il tour 2 di 60km va a est, al Lagoa do Fogo, con un percorso in senso orario che include Ribeira Grande sulla costa nord. I due tour costano 20 euro; nel giorno prescelto si po’ fare il giro più volte a piacere, dalle 8:30 alle 16:30. Questo perché il clima alle Azzorre è talmente mutevole che spesso si rischia di arrivare nei punti panoramici e trovarli avvolti da nuvole, senza vedere niente.

Da Fort São Bràs salgo sul primo bus disponibile diretto a Lagoa do Fogo. Paesaggio lussureggiante caratterizzato da diverse tonalità di un verde sempre intenso, solcato da poche strisce d’asfalto ben tenute al lato di ordinate fattorie e distese di mucche a macchie bianco nere che ricordano la celebre copertina dei Pink Floyd. Scendo per la prima sosta del tour a Ribeira Grande, il paese più piacevole e importante dell’isola, con un bel giardino ai lati del fiume fino al ponte ad archi a ridosso dell’oceano, detto degli ‘Otto Occhi’. Nel XVIII secolo Ribeira era una cittadina molto facoltosa, grazie alla filatura della lana e al lino e ancora oggi si respira quel lontano benessere attraverso l’architettura barocca sopravvissuta a grandi terremoti nel corso del tempo. Il pezzo forte è la chiesa di Nossa Senhora da Estrela del XVII secolo, anch’essa in stile manuelino. Si erge su una collinetta in posizione panoramica, raggiungibile con un’ampia scalinata. L’interno è composto da tre navate, ricco di decorazioni in pittura fiamminga e per le opere che conserva è considerata come un museo d’arte sacra. Passata un ora salgo sul Yellow Bus successivo che in breve mi conduce alla Caldeira Velha, la cascata immersa in una giungla tropicale dalle felci altissime, che forma una piccola piscina d’acqua chiara dove si può anche nuotare senza ‘imbrattarsi’. Mi dicono che è diversa da quella di altri parchi dove l’acqua ferruginosa tinge gli indumenti. A lato del piccolo laghetto ci sono due rustici spogliatoi in legno e non distante s’incontrano le buche fumanti di acque vulcaniche che borbottano ribollenti. Tuttavia, al momento la cascata non ha un gran getto d’acqua, il tempo è in rapido peggioramento e ho quindi scelto di proseguire con lo stesso bus ansioso di vedere Lagoa do Fogo alla fermata dopo. Giunto al lago, niente da fare! Le nubi avvolgono anche il nostro bus e non si vede nulla, un classico del clima atlantico.

Deluso, torno a Ponta Delgada e salgo sul Yellow Bus del tour 1 diretto alle Sete Cidades, splendida vegetazione ovunque, ma quando arrivo al ponte, quello che divide Lagoa Azul da Lagoa Verde, e al belvedere di Vista de Rei oltre alle nubi trovo anche la pioggia e la delusione aumenta. Tra le numerose leggende di Sete Cidades la più poetica è certamente quella che descrive l’amore contrastato di una principessa e di un pastore che, al loro ultimo incontro, piansero tanto che le loro lacrime formarono i due laghi.

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