Dongo e il lago di Como – Viaggio nella storia moderna
Come spesso mi accade, mi sono lasciato trasportare dal viaggio “zigzagando” lungo l’Italia, da Nord a Sud e poi ancora Nord, alla ricerca di qualcosa di indefinito che mi emozionasse a tal punto da desiderare di condividerlo con i lettori. L’Italia, sotto il profilo paesaggistico, culturale e architettonico è tutta bellissima, ma ciò che vedevo non era in sintonia con lo stato d’animo del momento, finché non ho raggiunto il lago di Como e la sua superba scenografia, illuminata da una luce speciale che mette in rilievo le forme di un paesaggio ricco di suggestioni ambientali e urbanistiche. Incantato dalla vista che si gode dal paese di Brunate, sul crinale del monte Tre Croci abbellito da sontuose ville Liberty, decido di approfondire inoltrandomi in questa ricognizione esplorativa del lago che qui prende il nome di Lario.
Per me, fino a ieri, era solo un luogo di transito verso la Svizzera, non avevo mai percepito questa atmosfera mitteleuropea che caratterizza tutto il percorso lungo la striscia di asfalto che si snoda accanto alla costa di questo pittoresco ed incantevole specchio d’acqua, formatosi ai piedi delle Prealpi. A cominciare dal porticciolo di Cernobbio e dalla sua Villa d’Este, per secoli dimora dell’aristocrazia che dal 1873 è uno dei più prestigiosi ed esclusivi resort celebrati al mondo. Di ville famose ne è pieno il lago e fra queste, subito dopo la lussureggiante isola Comacina, protagonista della storia comasca racchiusa nel Museo Antiquarium, resto incantato dalla splendida Villa del Balbianello, elegante dimora di celebri letterati costruita sulla punta estrema della penisola di Lavedo a Lenno. La prestigiosa costruzione è sede di ricordi e cimeli di viaggi intorno al mondo, realizzati dall’ex proprietario Guido Monzino ed è immersa in un folto bosco che ricopre l’intero promontorio, proteso sul lago lariano. Qui sono state anche ambientate alcune scene dei celebri film Star Wars e 007 Casino Royale.
Nel secondo giorno esplorativo, passando di paese in paese, tutti ricchi di un raffinato fascino retrò, mi sono trovato per caso a Dongo, antico borgo di tremila abitanti situato sulla costa nordoccidentale del lago. Un paese diventato famoso nel mondo per la cattura di Benito Mussolini, la sua amante Claretta Petacci e i fedelissimi gerarchi della Repubblica Sociale di Salò da parte dei partigiani della 52a Brigata Garibaldi, scoperti mentre tentavano di avvicinarsi al confine svizzero, su di un camion di soldati tedeschi. Era il 27 aprile del 1945.
Il luogo mi intriga enormemente e desidero raccontarlo, non per tentare di spiegare la complessità della storia già tanto narrata dovunque ma per una doverosa sintesi finalizzata ad interessare le nuove generazioni su un evento che ha segnato il destino del nostro Paese dando ad una vacanza un’impronta culturale e storica.
Parcheggio, passa un’anziana signora e a lei chiedo se conosce il luogo dove hanno fucilato i gerarchi. La signora alza il braccio e dice: “È lì, davanti a lei”, indicando un basso muretto sul lungolago all’estremità della piazza centrale. Casualmente ho parcheggiato nello spazio accanto a quel famigerato muretto, lungo una decina di metri e alto 50 centimetri, su cui in genere ci si siede per ammirare la piazza del municipio intitolata al comandante partigiano Giulio Paracchini, ucciso dalle Brigate Nere sui monti sopra Dongo, il 24 aprile del ‘45. La signora alza di nuovo il braccio ed indica un altro punto, oltre la strada: “E là, davanti all’albergo Dongo, hanno fatto scendere Mussolini dal camion”. Anna, così si chiama, mi mostra i fori dei proiettili di quel giorno ancora evidenti sulla ringhiera in ferro alle spalle del muretto. Racconta che suo marito era una “camicia nera”, litigavano spesso per la differenza di punti di vista, tuttavia ora precisa con puntiglio: “Non mi è piaciuto per niente che abbiano ucciso quella gente senza un doveroso processo. Una barbarie!”. Sul muretto qualcuno ha deposto un semplice fiore, in memoria del Duce e del suo seguito.
Anna mi invita a non chiedere troppo in giro di questa storia: “Alla gente non piace parlare di quei drammatici fatti”. Racconta che, dal dopoguerra per tantissimi anni, a Dongo in pochi osavano uscire di casa per festeggiare il 25 Aprile, intimoriti da squadre di “nostalgici” che non riconoscevano la Festa della Liberazione. E aggiunge: “Ogni anno ad aprile si vedono ancora giovani uomini che, in camicia nera, vengono a commemorare il drammatico evento con i rituali del Ventennio. È inquietante vedere che da una parte della piazza queste persone fanno il saluto romano e dall’altra, i rappresentanti delle associazioni partigiane, cantano Bella ciao”. Sono passati 76 anni ma a Dongo, in quei giorni, è ancora un paese diviso da ideologie opposte che si fronteggiano a cielo aperto in un clima di tolleranza implosiva. Anna mi invita ad entrare nel municipio, il palazzo Manzi, luogo in cui vennero portati Mussolini e i gerarchi nel giorno della cattura. Solo pochi giorni prima era stato celebrato il rito funebre dei caduti partigiani. Le sale di questo palazzo, oggi “Museo della Fine della Guerra”, furono teatro di memorabili fatti che segnarono la storia moderna dell’Italia, un viaggio nel labirinto delle pagine più controverse, dentro una guerra civile che vide italiani contro italiani. Dotato di moderne tecnologie multimediali, il museo ci permette di rivivere in prima persona il drammatico epilogo del Ventennio fascista.
Torno a sedermi sul muretto e, mentre esamino le foto appena scattate, passa un anziano signore sorretto da un girello che, sorridendo, chiede se mi piace il lago di Como: “Se vuol vedere un gran bel paesino deve andare a Bellagio”. Vista l’età e la disponibilità al dialogo, gli chiedo con cautela se conosce i fatti dell’aprile del 1945 e questi, come poco prima la signora Anna, mi lascia incredulo dicendomi: “Certo, io ero presente alla fucilazione”. Si chiama Luigi, ha 93 anni e all’epoca ne aveva 17: “Quel tardo pomeriggio del ‘28 io ero seduto su di una sedia sul lato Nord della piazza e non sapevo nulla di ciò che stava accadendo. All’improvviso ho visto uscire dal palazzo della sede comunale i 15 gerarchi scortati dai partigiani, li ho visti farli allineare lungo il muretto, alla presenza del prete e la fucilazione alla schiena in diretta”. Proprio come Anna, mentre racconta manifesta una smorfia di avversione: “Qualunque siano i motivi, non è mai bello vedere uccidere delle persone”. Sentire raccontare la storia da chi l’ha vissuta è davvero emozionante.
In questa settimana di Ferragosto Dongo è popolato da un’infinità di turisti, molti dei quali probabilmente non conoscono la storia e gli eventi di cui questo paese è testimone. Incontrare quindi Anna e Luigi, per me che sono un po’ fatalista, le ritengo due casualità fortuite capaci di accendere il mio interesse e spingermi ad andare oltre. I loro racconti, per il forte impatto emotivo di cui sono ancora permeati, sono talmente lucidi e presenti nelle loro menti da far sembrare quei fatti accaduti solo pochi giorni prima.
Dunque, il 27 aprile 1945 in questa piazza vengono tutti individuati ed arrestati ma, mentre i gerarchi sono trattenuti a Dongo, Mussolini e la Petacci, dopo mille peripezie e incertezze vengono trasferiti per la notte nella casa della fidata famiglia De Maria a Bonzanigo, frazione nel borgo di Mezzegra, 20 km più a Sud. Immediatamente sento il desiderio di vedere quella casa e comincio a documentarmi tramite Internet. La raggiungo, è una grande casa colonica di due piani ai piedi della collina, ancora identica alle foto d’archivio dell’epoca. Scendo a piedi quel viottolo che ha ancora lo stesso selciato, gli stessi gradini e lo stesso ingresso ad arco che hanno attraversato Mussolini e la Petacci nelle ultime, drammatiche ore della loro straordinaria vita.
Qui, il pomeriggio del 28 aprile, i due amanti vengono fatti sedere sui sedili posteriori di una Fiat 1100 nera e portati da tre partigiani, capitanati da “Valerio” (Walter Audisio), nel luogo prescelto per la fucilazione: da via del Riale a via XXIV Maggio, nella frazione di Giulino, distante poche centinaia di metri. A questo punto è ovvio che intendo portare a termine il tour sugli ultimi giorni del Duce ma per qualche misterioso motivo non ricevo più Internet e mi vedo costretto a fermare il postino per chiedere la direzione. Tuttavia, arrivo fin sul piazzale panoramico della bella chiesa parrocchiale di Mezzegra, dedicata a Sant’Abbondio Vescovo, senza scorgere il luogo indicato.
Torno a scendere per via XXIV Maggio facendo maggiore attenzione ed ecco che alla mia sinistra mi appare il cancello di villa Belmonte, quello già visto nei libri di storia, nei documentari e nei film sulla vita del Duce, come Mussolini ultimo atto di Carlo Lizzani. Sulla colonna di sinistra c’è il numero 58 e sotto, nel muretto di cinta, è stata posta una vistosa croce nera che indica il punto in cui Mussolini è stato ucciso. Sulla colonna di destra è invece indicato il numero civico 14 e in basso, sul muretto opposto alla croce sono state messe in cornice di ferro le foto di Benito Mussolini e Claretta Petacci, uno accanto all’altra. Qualche metro a sinistra del celebre cancello un cartello bilingue recita: “Qui, alle 16,10 del 28 aprile 1945 fu eseguita la condanna a morte di Benito Mussolini, decretata dal CLNAI. La resistenza italiana pose così fine al regime fascista”. Tuttavia, anche qui, come in piazza a Dongo, nelle date del 27 e 28 aprile di ogni anno i fedelissimi di estrema destra affiggono il manifesto funebre del Duce e si radunano per commemorare i “loro eroi”.
Lui era il Duce, l’uomo che ha vissuto un delirio d’onnipotenza senza precedenti, osannato da milioni di italiani, si trova ora davanti alla sua fragilità di uomo confuso innanzi alla morte. Il momento della fucilazione, nella sua versione ufficiale, fu così drammaticamente concitato e avvincente da sembrare irreale, proprio come un film. Il mitra Thomson di Valerio si inceppa, provano con la pistola e pure questa non spara. Mentre Claretta si aggrappa a Benito con Valerio che gli urla: “Togliti di lì se non vuoi morire anche tu”. Poi dal secondo mitra, quello di Pietro, parte la raffica che ucciderà entrambi. Chi ha sparato? Valerio o Pietro (Michele Moretti)?
A distanza di tanti anni non sono ancora chiare le circostanze della loro morte, ancora poche le certezze sulle ultime ore di vita del Duce. Ovviamente erano momenti concitati, dominati dalla tensione e dal caos dove tutto può accadere. Tanti dubbi, pareri concordi, discordi e ipotesi in sospeso che rendono ancor più incredibile nonché inquietante questo epilogo. Rimane un enigma la sua vita e ancor più la sua morte. Enigma alimentato dagli omicidi e dalle morti misteriose avvenute nell’immediato dopoguerra, collegate alla sparizione del cosiddetto “oro di Dongo”, i valori in oro e in moneta sequestrati al momento della cattura.
Il mio tour storico e culturale è terminato, sulla via del ritorno a Como, mi fermo per un bagno nella piccola baia accanto a villa Oleandra, diventata la residenza di un noto attore. Mi accodo poi ad alcuni camper che si dirigono verso Bellagio, la perla del lago posizionata sulla pittoresca punta del “Triangolo Lariano”, e devo dire che il signor Luigi di Dongo aveva ragione: Bellagio è un borgo splendente ed elegante, tanto che l’incantevole palazzo di Villa Serbelloni, uno dei simboli del paese, è stato copiato e riprodotto a Las Vegas. Il lago di Como è pura bellezza, da non perdere!
Meer Magazine